Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Licenziamento disciplinare per falsa attestazione di presenza in servizio: prevalenza della legge sulla contrattazione collettiva e margini valutativi del giudice (Corte di cassazione, sezione lavoro, 11 settembre 2018, n. 22075) (di Cinzia De Marco)


Corte di cassazione, sezione lavoro, 11 settembre 2018, n. 22075 Pres. NAPOLETANO – rel. DI PAOLANTONIO Impiegato dello Stato e pubblico in genere – Sanzioni disciplinari – Licenziamento – Disciplina di legge ex art. 55 ss. D.Lgs. n. 165/2001 – Inderogabilità ex art. 1339 e 1419 c. 2 c.c. – Prevalenza sulle disposizioni contrattuali difformi Impiegato dello Stato e pubblico in genere – Sanzioni disciplinari – Licenziamento – Falsa attestazione di presenza in servizio – Configurabilità – Allontanamento arbitrario dal luogo di lavoro – Sussiste – Portata non innovativa ma chiarificatrice dell’art. 3 D.lgs. 116/2016 Impiegato dello Stato e pubblico in genere – Sanzioni disciplinari – Licenziamento – Fattispecie legali – Valutazione di proporzionalità nel caso concreto – Sussiste Le disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 165/2001 in materia di sanzioni disciplinari ivi comprese le norme procedurali sono inderogabili e prevalgono su quelle contrattuali, sostituendosi ad esse ex artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c. La fattispecie di falsa attestazione della presenza in servizio di cui all’art. 55 quater comma 1, lett. a) del citato decreto legislativo si configura anche nell’ipotesi di allontanamento arbitrario dal luogo di lavoro già prima delle modifiche introdotte dall’art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 116/2016 che non ha portata innovativa ma chiarificatrice di un precetto desumibile dalla disciplina previgente. La cristallizzazione legale delle ipotesi che comportano provvedimenti espulsivi non esime il giudice da una valutazione di proporzionalità della sanzione in riferimento al caso concreto.   (Omissis) 1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione della L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 58 e art. 342 c.p.c.“ e, premessa l’applicabilità al reclamo delle norme del codice di rito che disciplinano i requisiti formali dell’atto di appello, rileva che nella fattispecie il gravame doveva essere dichiarato inammissibile, in quanto l’Università non aveva prospettato alcuna diversa ricostruzione dei fatti ed inoltre non aveva precisato “ punto per punto la rilevanza nel giudizio ai fini della decisione di quanto lamentato”. 1.2. La seconda censura addebita alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, commi 2 e 4, in quanto, ai fini dell’individuazione del termine entro il quale la contestazione deve essere effettuata, rileva solo la sanzione astrattamente prevista per il comportamento ritenuto di rilevanza disciplinare, sicché ove quest’ultima sia pari o inferiore alla sospensione dal servizio con privazione della [continua..]
SOMMARIO:

1. Premessa. Fatti di causa - 2. La rilevanza del principio di proporzionalità - 3. La fattispecie di falsa attestazione della presenza in servizio - 4. Sulle questioni procedurali - NOTE


1. Premessa. Fatti di causa

La sentenza in epigrafe offre interessanti spunti di riflessione in ordine al rapporto tra fonte legale e fonte contrattuale nella materia disciplinare. In particolare il caso riguarda un licenziamento disciplinare ex lege irrogato da un pubblica amministrazione a causa della falsa attestazione della presenza in servizio. Al centro della vicenda vi è un dipendente dell’Università degli Studi di Firenze il quale era stato licenziato dall’Ateneo fiorentino per essersi allontanato dal luogo di lavoro, in assenza di autorizzazione e senza attestare l’uscita nel sistema di rilevamento delle presenze. La massima sanzione disciplinare è stata inflitta anche in considerazione del fatto che lo stesso dipendente in passato si era reso protagonista di comportamenti analoghi per i quali era stato già avviato un procedimento disciplinare, all’interno del quale l’Amministrazione aveva avuto contezza di tale ultimo episodio e aveva provveduto all’apertura di un nuovo provvedimento disciplinare, definito con l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per 6 mesi con privazione della retribuzione. Le principali doglianze rappresentate dal ricorrente, di natura procedurale e sostanziale, che nel primo grado di giudizio erano state accolte dal giudice il quale aveva dichiarato la nullità del licenziamento e aveva condannato l’Università a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro occupato in precedenza ed a corrispondergli le retribuzioni maturate dalla data del recesso, essenzialmente si sono incentrate sull’invocazione della disciplina contrattuale. Ed infatti ai sensi dell’art. 46, comma 3, del Ccnl del 16 ottobre 2008 per il personale del comparto università qualora non venga contestata la recidiva, l’allontanamento arbitrario dal servizio è sanzionato con la sospensione non superiore a 10 giorni, e poiché ai fini dell’individuazione del termine entro il quale debba essere effettuata la contestazione occorre prendere in considerazione soltanto la sanzione astrattamente prevista per la condotta ritenuta di rilevanza disciplinare, qualora quest’ultima sia pari o inferiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per non più di dieci giorni, questo sarebbe dovuto essere quello di venti giorni indicato nell’art. 55-bis, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001, [continua ..]


2. La rilevanza del principio di proporzionalità

Prima dell’emanazione del D.Lgs. n. 150/2009 la regolazione della materia disciplinare nel pubblico impiego presentava marcati caratteri di omogeneità con quella del settore privato in riferimento alle fonti e ai profili sostanziali; le uniche differenziazioni si riscontravano nell’esercizio del potere disciplinare giustificate dall’esi­genza di un necessario adattamento alle diversità di contesto [1]. In particolare ai sensi dell’art. 55, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001, era rimessa alla contrattazione collettiva l’individuazione delle condotte punibili e la graduazione delle sanzioni applicabili a queste; tale previsione era da considerarsi un epifenomeno del superamento dell’assetto panpubblicistico che invece caratterizzava il rap­porto tra dipendente e pubblica amministrazione prima della privatizzazione. Beninteso la disposizione non prevedeva una riserva assoluta di disciplina alla contrattazione collettiva, potendo ben coesistere norme disciplinari di fonte legale e norme disciplinari di fonte contrattuale, entrambe poi sottoposte alla regola prevista dal­l’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001, secondo cui «eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponga e­spressamente in senso contrario» [2]. Il D.Lgs. n. 150/2009 ha profondamente modificato la materia disciplinare attuando una forte compressione del ruolo della contrattazione collettiva. Ed infatti il legislatore al fine di perseguire l’ambizioso obiettivo di contrastare i fenomeni di bassa produttività e di assenteismo dei dipendenti pubblici ha rinnovato interamente il sistema disciplinare introducendo disposizioni modificative al D.Lgs. n. 165/2001 dotate di immediata efficacia, senza necessità di recepimento da parte della contrattazione collettiva. Sicché, pur ribadendo che «la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi» fa salve le disposizioni previste in materia dal capo V del D.Lgs. n. 150/2009 imprimendo alle stesse il carattere dell’imperatività. Disposizioni [continua ..]


3. La fattispecie di falsa attestazione della presenza in servizio

La norma in commento contempla nella lett. a) quale ipotesi legale di giusta causa di licenziamento «la falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente». La disposizione punisce l’assenteismo fraudolento; ed infatti, il riferimento esplicito alla fraudolenza consente di poter considerare quali scriminanti alcune circostanze quali ad esempio la mera dimenticanza della timbratura del cartellino ovvero un’uscita anticipata non registrata determinata da un’esigenza familiare [13]. Pertanto elemento costitutivo della fattispecie risulta essere, e tale dovrà essere provato dall’Amministrazione, l’intento di raggiro del dipendente che ben potrebbe essere integrato, e questo è il caso oggetto della sentenza, dalla abitualità del comportamento. Dunque la fattispecie sicuramente riguarda il caso del dipendente che proceda ad un’alterazione del sistema del rilevamento delle presenze ma, spesso, ricorre la circostanza per cui il dipendente effettivamente timbra regolarmente l’entrata in ufficio e l’uscita alla fine del proprio orario giornaliero di lavoro allontanandosi però dall’ufficio tra una timbratura e l’altra. E questa è stata la condotta del dipendente dell’Ateneo fiorentino il quale, appunto, ha basato la propria difesa sulla circostanza che nei fatti si era trattato di «abbandono ingiustificato dal servizio» per il quale il Ccnl di comparto prevede una sanzione conservativa. Orbene la Cassazione aderisce all’orientamento consolidato sicché richiamando altri precedenti [14] afferma che tra le ipotesi di assenza ingiustificata di cui all’art. 55-quater, D.Lgs. n. 165/2001 vigente all’epoca dei fatti rientra «non solo il caso dell’alterazione del sistema di rilevamento delle presenze, ma anche l’allontana­mento del lavoratore nel periodo intermedio tra le timbrature di entrata e di uscita, trattandosi di un comportamento fraudolento diretto a fare emergere falsamente la presenza in ufficio». Sulla base di tale assunto la Corte parifica quanto a gravità della condotta l’al­terazione del sistema di rilevazione delle presenze realizzata materialmente dal dipendente con la timbratura o la mancata timbratura finalizzata in modo ingannevole a [continua ..]


4. Sulle questioni procedurali

La Corte affronta, infine, alcune questioni attinenti al procedimento disciplinare e segnatamente il termine entro il quale effettuare la contestazione dell’addebito, che il ricorrente assume essere quello di venti giorni previsto dall’art. 45 del Ccnl del comparto Università ma anche dallo stesso art. 55, D.Lgs. n. 165/2001, e il dies a quo dal quale computarlo che, secondo il dipendente, doveva essere individuato nella data della prima audizione effettuata nel corso del primo procedimento disciplinare aperto dall’Amministrazione. Sul primo punto la difesa del dipendente travisa la lettera della legge che, invece, prevede che in ipotesi di c.d. “procedura aggravata” come tale di competenza del­l’ufficio procedimenti disciplinari, questa si svolge sì secondo l’iter previsto per la procedura semplificata ma «con l’applicazione di termini pari al doppio di quelli ivi stabiliti». È pacifico che il raddoppio dei termini riguardi tutti i termini e, quindi non soltanto quello relativo alla conclusione del procedimento disciplinare ma anche quello previsto per la contestazione dell’addebito. Parimenti non può essere richiamato il termine previsto dall’art. 45 del Ccnl del comparto Università giacché la prevalenza della fonte legale su quella contrattuale riguarda non soltanto il profilo sostanziale ma anche quello procedurale della materia disciplinare. La regolamentazione come si sa è stata modificata dal D.Lgs. n. 75/2017 che in pratica, ha soppresso la complessa articolazione della tipologia dei procedimenti disciplinari prevista dalla disciplina in vigore durante i fatti di causa. Si è disposto, in particolare, che tutte le sanzioni, fatta eccezione per il rimprovero verbale mantenuto nella competenza del responsabile della struttura in cui presta servizio il dipendente che ha commesso l’infrazione, siano attribuite esclusivamente all’ufficio procedimenti disciplinari che è tenuto a contestare al dipendente i fatti ritenuti di rilevanza disciplinare, entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della segnalazione da parte del responsabile della struttura, o dal momento in cui ne abbia avuto altrimenti piena conoscenza [19]. Per quanto poi riguarda il dies a quo la Corte, aderendo al consolidato orientamento ritenuto conforme al principio del giusto processo come inteso [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2019