Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
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Continua la querelle giurisprudenziale sugli ex lettori di lingua straniera (Corte di Cassazione, Sez. lav., 25 maggio 2018, n. 13175) (di Silvio Bologna – Ricercatore di Diritto del lavoro nell’Università di Palermo)


CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAV., 25 MAGGIO 2018, N. 13175 Pres. DI CERBO, EST. DI PAOLANTONIO, P.M. MASTROBERARDINO (CONF.) Istruzione pubblica – Ex lettori di madre lingua straniera – Trattamento economico – Prescrizione – Decorrenza. In tema di trattamento economico degli ex lettori di madre lingua straniera delle università, disciplinato dall’art. 1 d.l. n. 2 del 2004, conv. con modif. in l. n. 63 del 2004, come interpretato autenticamente dall’art. 26 l. n. 240 del 2010, il termine di prescrizione per l’esercizio del diritto a percepire tale trattamento comincia a decorrere solo dalla data in cui il diritto stesso poteva essere esercitato, vale a dire dall’entrata in vigore della nuova normativa, atteso che le sentenze della corte di giustizia Ue che avevano in precedenza accertato la violazione del principio di non discriminazione in relazione al mancato riconoscimento dei diritti quesiti non avevano tuttavia indicato né le modalità con cui detti diritti dovevano essere garantiti né l’esatto ammontare della retribuzione da riconoscere. FATTI DI CAUSA 1. La Corte di Appello di Napoli ha respinto l’appello proposto dall’Università degli Studi Federico II avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva condannato l’appellante a corrispondere a Ru. Ma., assunta quale lettore di madrelingua straniera ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980, articolo 28 le differenze retributive, maturate dalla data della prima assunzione, fra il trattamento economico spettante al ricercatore confermato a tempo definito, con inclusione degli scatti biennali e di anzianità, e quanto effettivamente ricevuto, il tutto maggiorato di interessi legali e rivalutazione monetaria. 2. La Corte territoriale, ricostruito il quadro normativo e richiamate le pronunce della Corte di Giustizia più volte intervenuta sulla questione del trattamento giuridico ed economico riservato dallo Stato Italiano ai lettori di lingua straniera, ha evidenziato in punto di fatto che il rapporto di lavoro intercorrente fra l’Università e la Ru. era stato dichiarato a tempo indeterminato dal Tribunale di Napoli con la sentenza n. 4759/1997, passata in giudicato, sicché l’originaria ricorrente non aveva acquisito la qualifica di collaboratore esperto linguistico, non avendo partecipato alla relativa selezione né sottoscritto alcun ulteriore contratto. 3. Il giudice di appello, peraltro, ha ritenuto che, a prescindere dalla trasformazione del rapporto, il trattamento retributivo dovesse essere quello indicato dal legislatore con il Decreto Legge n. 2 del 2004, convertito dalla L. n. 63 del 2004, e ciò perché detta normativa si era resa necessaria per adeguare l’ordinamento interno ai principi affermati dalla Corte di Giustizia. Al lettore, pertanto, in ogni caso doveva essere [continua..]
SOMMARIO:

1. Ancora sulle discriminazioni contro gli ex lettori - 2. Lettori, discriminazioni per legge e intervento del giudice: gli anni ’80 e ’90 e … - 3. … le riforme legislative in ottemperanza al diritto comunitario - 4. La legge Gelmini: un ulteriore tassello alla fine della querelle - 5. Ex lettori, parità di trattamento e interpretazione analogica: il recente indirizzo di legittimità. - NOTE


1. Ancora sulle discriminazioni contro gli ex lettori

Con la sentenza in epigrafe la Suprema Corte torna a pronunciarsi sul trattamento economico degli ex lettori di lingua straniera, stabilizzati alle dipendenze dei singoli atenei tramite provvedimento giudiziale: attraverso il ricorso all’interpretazione analogica viene dilatato il perimetro applicativo della normativa vigente che riconosce agli ex lettori – poi assunti come collaboratori linguistici – il diritto al trattamento economico spettante ai ricercatori a tempo definito, in ragione delle ore lavorate, a decorrere dalla data della prima assunzione. La decisione della Corte si inserisce in un contesto normativo frammentato e disorganico, ripetutamente modificato dal legislatore ordinario per ottemperare alle numerose decisioni della Corte di Giustizia, che avevano ravvisato nella normativa italiana una costante violazione della libertà di circolazione dei lavoratori all’in­ter­no dell’Unione e del principio di non discriminazione.


2. Lettori, discriminazioni per legge e intervento del giudice: gli anni ’80 e ’90 e …

Per un corretto inquadramento della vicenda in esame è opportuna una ricostruzione in chiave diacronica del rapporto di lavoro degli ex lettori di lingua straniera: i profili regolatori vanno infatti di pari passo con la verifica in concreto del rispetto del principio di non discriminazione nell’ordinamento positivo. La figura del lettore venne istituita con legge n. 349/1958 presso le cattedre di lingue e letterature straniere: il lettore veniva equiparato all’assistente ordinario in relazione allo status e alle funzioni, risultando pertanto titolare di un rapporto di pubblico impiego a tempo indeterminato. La successiva legge n. 62/1967 non modificava il quadro di riferimento, limitandosi a prevedere la possibilità di conferire, tramite decreto rettorale, «incarichi annuali rinnovabili negli anni successivi …, in corrispondenza di posti di lettori di ruolo», e «speciali incarichi di lettore di lingua e letteratura straniera anche in aggiunta ai posti di lettore di ruolo». Il cambio di paradigma si registrava con l’art. 28 del d.P.R. 382/1980 di riordino dell’ordinamento universitario che, nel solco dei primi provvedimenti di liberalizzazione del mercato del lavoro, assimilava i lettori alla figura dell’incaricato (e non più dell’assistente), che venivano pertanto trasformati da pubblici dipendenti a soggetti stipulanti contratti di diritto privato [1]: l’incarico aveva durata annuale, e poteva essere rinnovato per un massimo di cinque anni all’interno della stessa università. Si era pertanto in presenza di un contratto a termine del tutto inusuale per l’epoca, per di più nelle pubbliche amministrazioni, sottoposto a una duplice limitazione temporale: quella connessa all’assunzione e quella relativa al meccanismo dei rinnovi [2]. La liberalizzazione contrattuale introdotta dall’art. 28 si accompagnava a gravi disfunzioni dal punto di vista organizzativo e didattico: i lettori ogni sei anni erano costretti ad “emigrare” verso un altro ateneo, magari vicino a quello di provenienza, per poi sperare di fare ritorno in quello originario una volta trascorso il sessennio di riferimento [3]. I profili di criticità erano poi ampliati dall’azione del Ministero dell’Istruzione e della Ricerca che, attraverso alcune circolari, invitava le singole istituzioni universitarie a [continua ..]


3. … le riforme legislative in ottemperanza al diritto comunitario

Per scongiurare l’apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione, a metà degli anni ’90 il legislatore italiano provvedeva a riformare la materia: nella prospettiva dell’uguaglianza –anche a fronte della disapplicazione del diritto nazionale, dell’obbligo di interpretazione conforme o dell’adeguamento spontaneo del singolo ateneo al dictum della Corte di giustizia – il principio di libera circolazione sarebbe rimasto lettera morta, ove non accompagnato da garanzie effettive sulla parità di trattamento tra cives e non cives nell’esecuzione della prestazione [16]. In particolare, la legge n. 236/1995 [17] abrogava la figura del lettore per sostituirla con quella di «collaboratore ed esperto linguistico di lingua madre»: se ne consentiva l’assunzione con contratto di diritto privato, di regola a tempo indeterminato, e solo in casi eccezionali per esigenze temporanee; l’assunzione avveniva tramite selezione pubblica disciplinata dal singolo ordinamento di ateneo; infine, gli ex lettori godevano di un diritto di preferenza nell’assunzione e conservavano i diritti quesiti avuto riguardo ai precedenti rapporti di lavoro [18]. La riforma si caratterizzava per un approccio gattopardiano, poiché si limitava a cambiare il nomen juris della figura professionale (da lettore di lingua straniera a collaboratore linguistico), e non esplicitava analiticamente le causali temporanee legittimanti il ricorso al lavoro a termine [19]; la maggiore criticità della legge n. 236/1995 risiedeva nell’ambigua disposizione che garantiva agli ex lettori, se assunti come collaboratori, i diritti acquisiti in ordine ai precedenti rapporti di lettorato: il dettato normativo veniva integrato in modo del tutto generico [20] dall’art. 51 del contratto collettivo delle università del 1996, secondo cui gli emolumenti economici integrativi potevano essere incrementati in ragione dell’«esperienza acquisita». Dal combinato disposto legal-contrattuale risultava innanzi tutto evidente come gli ex lettori, che non avevano ottenuto la conversione giudiziale del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato, non godessero di un automatico diritto alla stabilizzazione [21]: tale scelta era giustamente dettata dall’incomprimibile vincolo [continua ..]


4. La legge Gelmini: un ulteriore tassello alla fine della querelle

Il tortuoso iter della lotta per i diritti degli ex lettori di lingua straniera parrebbe terminare nel 2010: la legge n. 240/2010 (c.d. legge Gelmini) di riforma dell’Uni­versità fornisce all’art. 26, comma 3 un’interpretazione autentica della legge n. 2/2004, nel tentativo di arginare ulteriori ricorsi giurisdizionali dettati da applicazioni difformi della legge ad opera dei singoli atenei. Viene pertanto previsto che il trattamento economico di cui godono i collaboratori ex lettori, pari a quello del ricercatore a tempo definito pro rata temporis, vada riconosciuto dalla prima assunzione come lettore ai sensi del d.P.R. 382/1980 sino all’assunzione come collaboratore linguistico ai sensi della legge n. 236/1995. A decorrere da tale data, l’art. 26 prevede che i collaboratori conservino un trattamento retributivo pari alla differenza tra l’ultimo stipendio quale lettore di lingua straniera, determinato ai sensi della legge n. 2/2004 e, se inferiore, la retribuzione spettante sulla scorta della contrattazione collettiva decentrata e di comparto applicabile ai sensi della legge n. 236/1995 [31]. Da ultimo, la legge n. 167/2017 ha previsto uno stanziamento di fondi straordinari da destinare alla contrattazione integrativa di ateneo – previa adozione di decreto ministeriale che fissi uno schema tipo di contratto – per superare il contenzioso in atto e in chiave deterrente rispetto ad ulteriori controversie [32]. La maggiore criticità dell’intervento del 2010 risiede nell’individuazione del­l’ambito di applicazione soggettivo, che non elimina del tutto le discriminazioni indirette nei confronti degli ex lettori: al pari degli interventi precedenti, la norma di interpretazione autentica non si applica ai rapporti di lettorato convertiti in sede giudiziale da tempo determinato a tempo indeterminato, rispetto ai quali la sentenza non abbia statuito sul trattamento economico; presupposto comune agli interventi “riparatori” del 1995, 2004 e 2010 è dunque la stipulazione di un contratto a tempo indeterminato come collaboratore linguistico. In ultima analisi, un’interpretazione letterale dell’art. 26, comma 3 della legge Gelmini vieterebbe di applicare le tecniche di tutela previste dallo jus superveniens ai casi in cui il rapporto di lavoro sia proseguito in virtù di una statuizione giudiziale, e non [continua ..]


5. Ex lettori, parità di trattamento e interpretazione analogica: il recente indirizzo di legittimità.

Si è quindi reso necessario un intervento delle Sezioni unite della Suprema Corte, in ragione del contrasto registratosi tra sezioni semplici sul raggio d’azione dell’art. 26 della legge Gelmini: a un’interpretazione letterale e formalistica del dettato normativo, peraltro isolata [33], si contrapponeva un orientamento maggioritario attento all’effettiva garanzia del principio paritario e della non discriminazione fondata sulla cittadinanza. Se per il primo indirizzo si era in presenza di una legittima scelta di politica del diritto rientrante nella discrezionalità del legislatore ordinario, per il secondo si era di fronte a una lacuna normativa da colmare per assicurare coerenza e completezza dell’ordinamento giuridico [34]. Con due pronunce coeve del 2017 le Sezioni Unite hanno legittimato l’opzione “paritaria” sulla scorta di un’interpretazione analogica della norma speciale di cui all’art. 26 della legge n. 240/2010 [35]: vero è che in ragione della formulazione letterale tale previsione normativa si applica solo ed esclusivamente ai contratti di collaborazione linguistica stipulati dai singoli atenei con gli ex lettori. Tuttavia, tale opzione ermeneutica non cancellerebbe la criticità della legislazione di settore, poco o scarsamente attenta nel prevedere una disciplina transitoria in grado di eliminare tutte le discriminazioni connesse all’esecuzione del rapporto. Le Sezioni Unite utilizzano l’argomento analogico all’insegna del binomio uguaglianza-non discriminazione: effettuano innanzi tutto una comparazione tra le figure degli ex lettori divenuti docenti a tempo indeterminato per via giudiziale con quelle dei collaboratori linguistici. Una volta appuratane l’identità è evidente come non sia configurabile un ruolo ad esaurimento per gli ex lettori: pertanto l’applica­zione del combinato disposto di cui agli artt. 1 della legge n. 2/2004 e 26 della legge n. 240/2010 ai soli collaboratori darebbe luogo all’ennesima discriminazione indiretta basata sulla cittadinanza ex art. 45 TFUE. Inoltre, se non si ricorresse all’argo­men­tazione analogica si verrebbe a creare una irragionevole differenziazione delle tutele all’interno della stessa categoria dei lettori/collaboratori di madrelingua, a seconda che il vincolo obbligatorio che li leghi all’università [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2019