Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
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Sulla delegabilità dell'attività istruttoria nel procedimento disciplinare (Corte di Cassazione, Sez. Lav., 20 dicembre 2018, n. 33020) (di Alessandra Zacchi – Cultore di Diritto del lavoro presso l’Università di Firenze)


CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAV., 20 DICEMBRE 2018, N. 33020 Pres. NAPOLETANO – Rel. TRICOMI Impiegato dello Stato e pubblico – Procedimento disciplinare – Delega – Limiti In tema di procedimento disciplinare nel lavoro pubblico contrattuale, mentre non è ammissibile la delega rispetto ad atti che implicano un’attività valutativa e decisoria, è possibile delegare lo svolgimento di atti meramente istruttori, che siano compiuti su indicazione dell’ufficio delegante e siano sottoposti alla verifica di questo. 1. La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n. 824 del 2017, dichiarava nullo il licenziamento irrogato nei confronti di L.M.A., dirigente amministrativa di seconda fascia del Ministero, all’epoca dei fatti in servizio presso la Procura della Repubblica di Marsala, dal Ministero della Giustizia con nota del 21 maggio 2015, e condannava il Ministero medesimo a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro e a pagarle un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, oltre interessi legali come per legge, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo. 2. Il Tribunale di Trapani aveva respinto l’opposizione della L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 51, proposta dalla lavoratrice avverso l’ordinanza con cui il medesimo Tribunale aveva respinto l’impugnazione del licenziamento per giusta causa intimato alla lavoratrice. 3. La Corte d’Appello adita in sede di reclamo dalla lavoratrice accoglieva lo stesso in ragione delle seguenti statuizioni. Il Presidente del Tribunale di Trapani non era soggetto al quale legittimamente delegare la fase istruttoria del procedimento disciplinare, in quanto la delega del­l’attività istruttoria deve avvenire nell’ambito del medesimo ufficio individuato dalla PA per i procedimenti disciplinari; il Presidente del Tribunale era soggetto estraneo alla direzione del Ministero di cui faceva parte la lavoratrice, struttura titolare in via esclusiva del potere disciplinare. La compartecipazione del Presidente del Tribunale al procedimento disciplinare, lungi dall’avere determinato una compartecipazione meramente additiva del soggetto estraneo all’adozione del provvedimento, aveva realizzato una compartecipazione sostitutiva del soggetto titolare del potere, con conseguenza inammissibile sostanziale trasferimento della competenza dall’organo competente ad un diverso organo, sicuramente non competente. Ed infatti, il Presidente, non solo aveva sentito a discolpa la lavoratrice, ma aveva poi valutato la non necessità di ulteriori atti istruttori, rimandando con questa espressa motivazione gli atti al soggetto delegante per le sue determinazioni (come di evinceva dalla nota di accompagnamento del [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La questione affrontata dalla Cassazione e il relativo contesto normativo - 3. Le competenze nel procedimento disciplinare - 4. L’ammissibilità della delega dell’attività istruttoria secondo la giurispru­denza della Corte di Cassazione - NOTE


1. Il caso

Nella sentenza in commento la Corte di Cassazione si pronuncia sul tema della delega dell’attività istruttoria nel procedimento disciplinare nell’ambito del lavoro pubblico privatizzato. La vicenda prende le mosse dal licenziamento per giusta causa di una lavoratrice, dirigente amministrativa di seconda fascia del Ministero della Giustizia, all’e­poca dei fatti in servizio presso la Procura della Repubblica di Marsala. Il recesso era stato intimato a conclusione di un procedimento nel corso del quale l’attività istruttoria era stata compiuta dal Presidente del Tribunale di Trapani, soggetto esterno rispetto all’ufficio per i procedimenti disciplinari (di seguito: u.p.d.) individuato dalla Pubblica Amministrazione. La Corte d’Appello di Palermo, ribaltando la decisione del Tribunale di Trapani, aveva accolto l’opposizione della dirigente al provvedimento ricevuto, sulla base di due considerazioni: la non delegabilità della fase istruttoria del procedimento disciplinare a soggetti estranei all’u.p.d. e l’indebita interferenza sostanziale del soggetto delegato rispetto a tale fase. La Corte di Cassazione giunge, invece, ad una diversa conclusione, affermando per un verso che nel procedimento disciplinare i poteri del dominus possono essere esercitati anche da soggetti esterni all’u.p.d., purché sia il titolare a provvedere alla contestazione dell’addebito, all’esame dell’istruttoria compiuta ed all’irrogazione della sanzione, per altro verso che è legittima la delega di poteri istruttori a condizione che gli esiti rimangano soggetti alla verifica dell’ufficio delegante.


2. La questione affrontata dalla Cassazione e il relativo contesto normativo

La decisione della Corte di Cassazione desta particolare interesse in quanto precisa il significato dell’art. 55-bis del D.Lgs. n. 165 del 30 marzo 2001 in relazione alla delegabilità della fase istruttoria del procedimento disciplinare nel pubblico impiego. L’ambito normativo all’interno del quale si colloca la fattispecie è rappresentato dagli artt. 55-bis e 55, comma 4, del D.Lgs. n. 165/2001. Il primo comma dell’art. 55-bis stabilisce che per le infrazioni di maggiore gravità si applicano le disposizioni del comma 4 del medesimo articolo. Tale comma prevede che ciascuna amministrazione debba individuare l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, il quale deve provvedere alla contestazione dell’addebito al lavoratore, alla convocazione dello stesso per il contraddittorio a sua difesa, all’istruzione e alla conclusione del procedimento a suo carico. Si deve, tuttavia, precisare che l’art. 55-bis regola il procedimento disciplinare in via generale; nello specifico, riguardando il caso di specie un soggetto dotato di qualifica dirigenziale, è necessario considerare anche quanto disposto dall’art. 55, comma 4, del medesimo decreto legislativo. Tale comma, infatti, prevede che per le infrazioni ascrivibili al dirigente trovino applicazione, quando non diversamente stabilito dal contratto collettivo, le disposizioni dettate dal comma 4 dell’art. 55-bis, ad eccezione delle determinazioni conclusive del procedimento, che devono essere adottate dal dirigente generale o dal titolare di incarico conferito ai sensi dell’art. 19, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001. Da una prospettiva più ampia, ed ai fini del presente commento, non si può non ricordare come rivesta una significativa importanza anche il contesto normativo dal quale è scaturito l’art. 55-bis, e cioè il D.Lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009 (c.d. decreto Brunetta), il cui obiettivo generale era quello di rendere più efficiente l’intero apparato amministrativo [1]. È dunque in una simile prospettiva che si deve inquadrare l’intervento del legislatore delegato, volto a potenziare il sistema disciplinare e a responsabilizzare i dipendenti pubblici. In particolare, per quel che riguarda il titolare del potere disciplinare, il D.Lgs. n. 150/2009 aveva come obiettivo quello di valorizzare il ruolo del dirigente attraverso due [continua ..]


3. Le competenze nel procedimento disciplinare

La sentenza in commento rappresenta un’occasione per riflettere sulla questione della delega del potere istruttorio nell’ambito del procedimento disciplinare e, più in generale, sul funzionamento dello stesso [3]. Dal quadro ricostruito in precedenza emerge, infatti, la centralità dell’ufficio per i procedimenti disciplinari, che si è sostituito alle vecchie commissioni di disciplina: mentre queste ultime erano organi terzi rispetto al lavoratore e al datore di lavoro, l’u.p.d. non può definirsi tale, essendo parte integrante dell’apparato pubblico [4]. Se originariamente l’ufficio per i procedimenti disciplinari era competente rispetto a quasi tutte le sanzioni, eccetto il rimprovero verbale e la censura, la riforma Brunetta nel 2009 ha modificato parzialmente l’assetto originario, ampliando la competenza dei responsabili di struttura con qualifica dirigenziale [5]. Il rilievo che ai dirigenti pubblici sia stato attribuito il potere/dovere di condurre il procedimento disciplinare rispetto alle infrazioni di minor gravità conferma, nonostante parte della dottrina non sia concorde sul punto [6], l’idea alla base della riforma, cioè quella di valorizzare e allo stesso tempo responsabilizzare coloro che rivestono il ruolo di dirigenti all’interno della P.A. al fine di perseguire una maggiore efficienza nel settore pubblico [7]. Tale considerazione si spiega alla luce dell’idea per cui i dipendenti pubblici tendono ad identificare nei dirigenti, così come nell’ufficio per i procedimenti disciplinari, i loro “datori di lavoro” [8]. Per le infrazioni, e di conseguenza per le sanzioni più gravi, la competenza permane all’u.p.d., così come disposto dal comma 1 dell’art. 55-bis del D.Lgs. n. 165/2001. Tuttavia, come anticipato in precedenza, il menzionato decreto legislativo prevede un’apposita disciplina per le ipotesi nelle quali il procedimento disciplinare sia esperito nei confronti di un dirigente, permettendo alla contrattazione collettiva di intervenire e introdurre un sistema procedimentale diverso da quello individuato per i dipendenti privi di qualifica dirigenziale. Nel caso in cui tale contratto non preveda alcuna deroga al procedimento ordinario, si applicano le norme di cui all’art. 55-bis, comma 4, in virtù del rinvio disposto dal comma 4 [continua ..]


4. L’ammissibilità della delega dell’attività istruttoria secondo la giurispru­denza della Corte di Cassazione

Il quadro normativo così ricostruito fornisce una base per comprendere la ratio della sentenza in commento, con la quale la Corte di Cassazione risolve il caso di specie ritenendo ammissibile la delega del potere di compiere atti istruttori nel procedimento disciplinare. Come si è accennato, al fine di meglio inquadrare la presente pronuncia occorre ricordare che la finalità della riforma del 2009 non è stata quella di garantire la terzietà dell’organo deputato alla contestazione dell’addebito, all’istruzione e alla conclu­sione del procedimento, bensì quella di rendere tale procedimento più efficiente [10]. Alla luce di questa considerazione, si può meglio comprendere la statuizione in base alla quale non determina alcuna illegittimità la circostanza che gli atti istruttori siano stati compiuti da un soggetto delegato, nel caso il Presidente del Tribunale, e non direttamente dall’ufficio per i procedimenti disciplinari individuato dalla P.A. A patto, però, precisa la Corte, che vengano rispettate talune condizioni [11], con riguardo al soggetto attivo del procedimento, da un lato, e al potere da lui esercitato, dall’altro. In particolare, per quanto riguarda la prima condizione, i giudici della Suprema Corte, in continuità con quanto già in precedenti occasioni affermato [12], precisano che l’art. 55-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001, come modificato dal D.Lgs. n. 150/2009, «non obbliga il soggetto titolare del potere a procedere direttamente a tutti gli atti istruttori necessari, perché ciò che rileva ai fini della validità della sanzione inflitta è che i risultati dell’attività svolta dagli ausiliari vengano fatti propri dal dirigente che ricopre l’ufficio, il quale deve provvedere alla contestazione dell’addebito, al­l’e­same dell’istruttoria compiuta, all’irrogazione della sanzione» [13]. Il principio espresso trova ulteriori conferme in altre pronunce, che testimoniano come la delega degli atti istruttori sia ritenuta legittima in relazione a diversi soggetti. L’attività, infatti, può essere svolta da dipendenti assegnati alla stessa struttura amministrativa dell’u.p.d. [14], da altri dirigenti [15] e, nel caso di uffici a composizione collegiale, [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2019