Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Il 'danno comunitario' e la somministrazione di lavoro a termine illegittima nel pubblico impiego: quale compatibilità? (Corte di Cassazione, Ordinanza 16 gennaio 2019, n. 992) (di Irene Zoppoli – Dottoranda di ricerca - Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro)


CORTE DI CASSAZIONE, ORDINANZA 16 GENNAIO 2019, N. 992 Impiegato dello Stato e pubblico in genere – Somministrazione – Contratti di somministrazione a termine – Reiterazione abusiva o illegittima – Danno comunitario – Risarcimento – Art. 32, c. 5, l. n. 183/2010 – Applicabilità. Nel lavoro pubblico contrattualizzato, in conformità con il canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13) e con i principi enunciati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 5072 del 2016, ai fini del risarcimento del danno spettante al lavoratore nell’ipotesi di illegittima o abusiva reiterazione di contratti di somministrazione di lavoro a termine, deve farsi riferimento alla fattispecie di portata generale di cui all’art. 32, comma 5, della legge. n. 183/2010.
SOMMARIO:

1. La flessibilità nella p.a.: il principio di specificità delle ragioni della somministrazione a termine - 2. I principi di equivalenza e di effettività delle misure sanzionatorie tra soluzioni giurisprudenziali e legislative - 3. Sulla “compatibilità ontologica” tra le discipline del contratto a termine e della somministrazione a tempo determinato - 4. La “compatibilità teleologica”: la prevalente esigenza di fornire adeguata tutela contro il precariato pubblico - NOTE


1. La flessibilità nella p.a.: il principio di specificità delle ragioni della somministrazione a termine

L’ordinanza della Corte di Cassazione del 16 gennaio 2019, n. 992 ha preso posizione su molteplici aspetti concernenti la disciplina della somministrazione a termine nel pubblico impiego, sia in relazione al momento fisiologico – o meglio genetico – sia a quello patologico del rapporto contrattuale. Occorre, innanzitutto, precisare che al caso concreto ha trovato applicazione la normativa precedente alle modifiche del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75; ciò, tuttavia, non esclude l’attualità della pronuncia ed il suo rilievo sistematico, anche alla luce dei recenti interventi legislativi. La ricorrente impugnava la sentenza della Corte d’appello di Torino, la quale, pur dichiarando la carenza di specificità delle ragioni poste a fondamento dei primi tre contratti di somministrazione a termine, aveva rigettato la domanda di trasformazione del rapporto ed escluso il danno derivante dall’illegittimità contrattuale, in quanto privo di allegazione e deduzione probatoria sul punto. La Corte di Cassazione nella pronuncia in commento, conformemente alla sentenza impugnata, ha validato la vigenza del principio di specificità delle ragioni e ribadito che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori ad opera delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato; accogliendo, invece, la domanda della ricorrente, ha riconosciuto l’applicabilità dell’art. 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183 ai fini del risarcimento del danno spettante al lavoratore nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti di somministrazione di lavoro a termine. L’ordinanza affronta più approfonditamente il profilo della disciplina sanzionatoria tenendo conto degli autorevoli contributi giurisprudenziali interni e sovranazionali, tesi soprattutto a risolvere l’asimmetria regolativa esistente tra il lavoro privato e il lavoro pubblico. Prestando attenzione all’apparato sanzionatorio, questione ancora rilevante, delicata e discussa, non si può prescindere da un breve inquadramento della fattispecie della somministrazione all’interno del tema dell’adozione delle forme contrattuali flessibili nelle pubbliche amministrazioni. L’evoluzione normativa dell’istituto in esame evidenzia la costante tensione difficile da [continua ..]


2. I principi di equivalenza e di effettività delle misure sanzionatorie tra soluzioni giurisprudenziali e legislative

Al rigore della fase di formazione del contratto si abbina un apparato sanzionatorio dalla discussa idoneità compensativa e dissuasiva. In caso di utilizzo illegittimo e/o abusivo di contratti di lavoro flessibile, l’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 sancisce un divieto di conversione del contratto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, riconoscendo al lavoratore interessato il diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. La decisione in esame ha qualificato come “onnicomprensiva” l’espressione “contratti di lavoro flessibile”, includendo, quindi, anche il contratto di somministrazione. La prospettiva diacronica conferma una simile interpretazione: l’attuale formulazione della norma, come una sorta di recezione dell’ipotesi interpretativa prevalente, menziona espressamente i contratti di somministrazione a tempo determinato. La sanzione comminabile per la somministrazione irregolare nel lavoro privato, ossia la costituzione di un rapporto di lavoro indeterminato con l’utilizzatore, è, dunque, esclusa per i dipendenti pubblici, seppur abusivamente impiegati con un contratto di somministrazione. È questa la specificità del settore pubblico, che, in ossequio al dettato costituzionale dell’art. 97, impone il pubblico concorso come unica modalità di accesso agli impieghi nelle PP.AA. Si tratta di un aspetto della disciplina portato frequentemente all’attenzione delle più alte corti, nazionali e sovranazionali, principalmente per ciò che concerne la reiterazione di contratti a termine. Non distanziandosi dall’orientamento attualmente prevalente, la pronuncia in commento – come si è già accennato – ha confermato il divieto di conversione. Quest’ultimo è considerato baluardo delle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni, motivato dalle seguenti esigenze: egalitarie (di riconoscimento delle medesime possibilità di accesso secondo capacità e merito); organizzative (di rispetto della disciplina procedurale e dell’effettivo bisogno di personale); economiche (di contenimento della spesa pubblica) [6]. Al fine di individuare l’adeguato apparato sanzionatorio in caso di somministrazione illegittima, i giudici della Cassazione hanno fatto appello ad un’oramai nota giurisprudenza sul cosiddetto [continua ..]


3. Sulla “compatibilità ontologica” tra le discipline del contratto a termine e della somministrazione a tempo determinato

Senza indagare in modo problematico il merito della misura, l’ordinanza della Cassazione ha qualificato l’art. 32, comma 5, legge 183/2010 come “fattispecie di portata generale”, estendendo gli effetti dell’interpretazione giurisprudenziale nazionale ed europea ad ogni tipo di contratto flessibile e, quindi, anche al caso della somministrazione a tempo determinato nel pubblico impiego. Non sorprende, alla luce di ciò che si è detto sinora, che il primo argomento utilizzato a supporto della suddetta tesi si fondi sulla condivisione dell’orientamento che, nell’ambito del lavoro privato, applica l’indennità onnicomprensiva prevista per il risarcimento dell’illegittima stipulazione di un contratto a termine anche al caso di somministrazione irregolare. All’interno di un vivace dibattito [13], le argomentazioni utilizzate per escludere l’applicabilità della normativa in esame alla somministrazione a tempo determinato sono le seguenti: a) la natura derogatoria della norma rispetto ai principi generali civilistici, che richiedono l’integralità del risarcimento del danno, esclude la possibilità di un’interpretazione estensiva o analogica; b) l’assenza di disposizioni ad hoc che estendono la disciplina, tecnica che il legislatore in questo campo è solito utilizzare; c) la diversità giuridica sostanziale tra i due istituti, lampante proprio con riferimento alle conseguenze dell’irregolare ricorso alla somministrazione, ossia la costituzione di un rapporto lavorativo tra l’utilizzatore e il lavoratore, soggetti precedentemente non legati da alcun vincolo contrattuale. L’opposto orientamento si basa, invece, soprattutto sulla valorizzazione del dato letterale: la disposizione, nel fissare la regola del risarcimento forfettizzato, non indica normative di riferimento né aggiunge elementi selettivi, ma utilizza una formula unitaria, indistinta e generale (“contratto di lavoro a tempo determinato”); la sua applicazione, quindi, è subordinata all’esistenza di due sole condizioni, vale a dire la presenza di un contratto a tempo determinato e di un fenomeno di conversione. Secondo questo filone interpretativo, inoltre, tra i due istituti vi è una forte affinità di presupposti, interessi tutelati, posizioni processuali e sostanziali, per cui sarebbe [continua ..]


4. La “compatibilità teleologica”: la prevalente esigenza di fornire adeguata tutela contro il precariato pubblico

Esclusa l’incompatibilità ontologica tra le discipline, occorre vagliare il fondamento positivo del giudizio di compatibilità. La pronuncia in esame fonda la ragione della compatibilità delle discipline sul­l’esigenza di predisporre misure energiche, fortemente dissuasive per sanzionare gli abusi dei contratti a tempo determinato. È questa la lettura che i giudici della Corte hanno fatto dell’art. 22, comma 2, D.Lgs. 276/2003, applicabile ratione temporis, che assoggetta il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro alla disciplina del rapporto a termine “per quanto compatibile”, ritenendo in violazione del principio di razionalità-equità di cui all’art. 3 Cost. un sistema che assimili le due discipline per ciò che concerne il momento genetico del contratto e non in punto di apparato sanzionatorio. La Suprema Corte ha utilizzato l’art. 32, comma 5, legge 183/2010, nella suddetta interpretazione, come parametro risarcitorio idoneo a riempire la formula di cui all’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 (“diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative”). Questa operazione è indotta dall’esigenza di fornire adeguata tutela contro il precariato pubblico. Dal ragionamento della Corte si evince che la compatibilità tra le due discipline non è data dall’assimilazione tra la fattispecie del contratto a termine e quella della somministrazione a tempo determinato, ma dalla ratio delle rispettive regolamentazioni, in una prospettiva de iure condito e de iure condendo, nel senso che entrambe le normative tendono e devono tendere ad evitare l’abusivo ricorso all’apposizione del termine nei rapporti di lavoro. È un ragionamento giuridico attraverso cui si instaura tra le due discipline una relazione che potrebbe dirsi di “compatibilità teleologica”. A questo fine, la Cassazione n. 992/2019 ha utilizzato la direttiva 2008/104/CE – non applicabile al caso in questione perché recepita con il D.Lgs. 2 marzo 2012, n. 24 – come dato giuridico per interpretare sistematicamente la disciplina comunitaria e sottolinearne una costante: l’abusivo ricorso ai contratti a tempo determinato, indipendentemente dalla formula contrattuale flessibile utilizzata, [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2019