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Flessibilità e precarietà nel reclutamento delle amministrazioni pubbliche
Vito Pinto
Sommario:
1. Le metamorfosi della flessibilità nel lavoro pubblico - 2. La corrispondenza tra stabilità dell'attività amministrativa e stabilità dell'impiego. Lavori socialmente utili e tirocini formativi - 3. Le assunzioni a termine - 4. L'inidoneità tecnica dell'apparato rimediale a garantire la responsabilizzazione delle pp.aa. - 4.1. La preclusione della conversione e il risarcimento del danno - 4.2. La nullità dei contratti a termine - 5. Alcune osservazioni finali - Note
1. Le metamorfosi della flessibilità nel lavoro pubblico
Una visione realistica di ciò che la flessibilità del lavoro pubblico rappresenta oggi è possibile solo a patto di contestualizzare l'art. 36, D.Lgs. n. 165/01 nel più ampio quadro giuridico che le amministrazioni hanno a riferimento allorché compiono le proprie scelte assunzionali. Infatti, il ventennale processo di riforma che ha interessato il rapporto alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, in generale, e quelli flessibili, in particolare, ha profondamente mutato i caratteri della disciplina di questi ultimi. La possibilità di ricorrere a forme flessibili di impiego, come si ricorderà, è stata riconosciuta alle pp.aa. solo nel 1998, contestualmente alla profonda modificazione dell'assetto delle fonti in materia di organizzazione [1]. In quel momento, il legislatore pose le basi giuridiche indispensabili per innescare un adattamento continuo degli apparati amministrativi ai movimenti di emersione, espansione, [continua ..]
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2. La corrispondenza tra stabilità dell'attività amministrativa e stabilità dell'impiego. Lavori socialmente utili e tirocini formativi
L'art. 36 pone tuttora due regole fondamentali in materia di assunzioni. Anzitutto, esso stabilisce che l'attività lavorativa necessaria per svolgere l'attività amministrativa da considerarsi normale – il c.d. «fabbisogno ordinario» – deve essere assicurata da personale assunto «esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato» (comma 1) [7]. A questa segue una seconda disposizione, per molti aspetti complementare, la quale attribuisce alle pp.aa. la facoltà di sottoscrivere «contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché [di] avvalersi delle forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell'impresa» soltanto se il ricorso a siffatte forme di impiego sia giustificato dal «carattere esclusivamente temporaneo o [continua ..]
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3. Le assunzioni a termine
Il principio di corrispondenza tra stabilità dell’attività amministrativa e stabilità dell’impiego, poi, è variamente derogato da una serie di norme sulle assunzioni a termine. Si tratta, come anticipato, di una serie di previsioni che sottraggono le pp.aa. ai vincoli ordinari (il che significa, in questa specifica materia, soprattutto ai dispositivi antiabusivi indicati nella direttiva 1999/70/CE) e che, quindi, riconoscono alle stesse un’ampia libertà di scegliere le modalità di assunzione. Molte amministrazioni, insomma, si trovano in una posizione molto più conveniente di quella che pure è assicurata ai datori di lavoro privati per i quali, comunque, il contratto a tempo indeterminato resta la «forma comune di rapporto di lavoro»[32]. Questa diversificazione normativa, confermata dai due provvedimenti legislativi che nel corso della XVII legislatura hanno completamente ridisciplinato la materia, [continua ..]
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4. L'inidoneità tecnica dell'apparato rimediale a garantire la responsabilizzazione delle pp.aa.
Il terzo elemento che indebolisce la vincolatività del principio di corrispondenza tra stabilità dell’attività amministrativa e stabilità dell’impiego è la scarsa efficacia sanzionatoria dei due dispositivi che dovrebbero arginare gli abusi contrattuali posti in essere dalle amministrazioni. Per ragioni distinte, infatti, entrambi rendono meramente formale la possibilità per i lavoratori di ricorrere al giudice per far valere i propri diritti e, di conseguenza, sortiscono l’effetto esattamente opposto a quello che dovrebbe essere loro proprio: quello, cioè, di deresponsabilizzare le amministrazioni. La situazione, peraltro, è nota da tempo e il fatto che il D.Lgs. n. 75/2017 abbia omesso di correggerla è la migliore misura dell’autenticità delle aspirazioni riformatrici del Governo. Le due previsioni, entrambe contenute nell’art. 36 D.Lgs., si differenziano in ragione del diverso [continua ..]
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4.1. La preclusione della conversione e il risarcimento del danno
L’art. 36, comma 5, D.Lgs. ha un contenuto regolativo composito perché, per un verso, impedisce che la violazione delle disposizioni legali inderogabili relative all’assunzione o all’impiego di lavoratori subordinati possa comportare, così come avviene nel settore privato, «la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato» alle dipendenze dell’amministrazione responsabile dell’abuso; e, per altro verso, riconosce al lavoratore il «diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro» eseguita in violazione delle suddette disposizioni. Per effetto di questa doppia previsione, com’è ampiamente noto, alle pp.aa. è giuridicamente impossibile sia imputare i rapporti inizialmente qualificati tra le parti come di lavoro autonomo e successivamente riqualificati dal giudice come di lavoro subordinato, sia applicare quelle previsioni legali che sanzionano il ricorso abusivo ai [continua ..]
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4.2. La nullità dei contratti a termine
Come ricordato, l’art. 36 D.Lgs. contiene anche una seconda previsione di natura sanzionatoria che, rispetto alla coppia preclusione alla conversione/risarcimento del danno, ha un ambito di applicazione più ridotto. Si tratta della nullità dei contratti a termine che siano stati conclusi dalle parti in violazione delle regole speciali direttamente poste dal medesimo art. 36 o dallo stesso richiamate[65]. Orbene, a parere di chi scrive, questa previsione è solo apparentemente “radicale” come risulterà chiaro se, dal piano della posizione formale, ci si sposti sul piano complementare della plausibile dinamica attuativa. Si ipotizzi, come esempio, il caso di un ente che abbia assunto uno o più lavoratori a tempo determinato da destinare allo svolgimento di attività amministrative stabili e ordinarie e ci si chieda chi potrebbe avere interesse a far valere la nullità dei relativi contratti: risulterà evidente che, [continua ..]
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5. Alcune osservazioni finali
L’art. 36 D.Lgs. contiene altre norme che pure meriterebbero un’analisi. Tra queste, c’è il divieto di ricorrere alla somministrazione di manodopera «per l’esercizio di funzioni direttive e dirigenziali» che, da tempo, pone gravi questioni applicative per la difficoltà di decifrazione e di individuazione delle figure interessate[71]. Merita altresì di esser ricordata la previsione che, a differenza di quanto previsto nel settore privato, impone di intendere «i rinvii operati dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, ai contratti collettivi» come riferiti esclusivamente «ai contratti collettivi nazionali stipulati dall’ARAN»[72] anziché ai contratti collettivi di qualsiasi livello, come prescritto dall’art. 51 del medesimo decreto. Con questa norma il legislatore ha posto fine alla prassi amministrativa che interpretava i rinvii legali all’autonomia collettiva contenuti nelle [continua ..]
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Note