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Gli strumenti di inclusione sociale di disabili e svantaggiati: dagli affi-damenti “preferenziali” tramite convenzioni agli appalti “riservati”

VALENTINA PASQUARELLA - Ricercatrice di Diritto del Lavoro nell’Università di Foggia

Sommario: 1. Premessa. - 2. La “vocazione sociale” degli appalti pubblici: le sollecitazioni provenienti dall’Europa. - 3. Le policy di inclusione sociale nel quadro normativo nazionale: dal modello degli affidamenti in deroga ex art. 5, legge n. 381/1991 ... - 4. Segue: ... agli appalti riservati nel “vecchio” e nel “nuovo” Codice dei contratti pubblici.

1. Premessa

Il D.Lgs. n. 50/2016, recante il “nuovo” Codice dei contratti pubblici [1], all’art. 112, riprende, rivedendola, la disciplina in materia di appalti e concessioni riservati, contenuta nell’ormai abrogato D.Lgs. n. 163/2006 (art. 52), confermando un utile strumento che la pubblica amministrazione può utilizzare per promuovere l’inse­rimento nel mercato del lavoro di disabili e di persone svantaggiate. La possibilità di attivare questi appalti “a causa mista”, la cui finalità, quindi, non sia solo l’ac­qui­sizione della prestazione del bene, servizio o lavoro, ma anche la possibilità di favorire l’inserimento socio-lavorativo di soggetti meritevoli di particolare tutela, risulta coerente con il criterio di cui all’art. 1, comma 1, lett. c), della legge delega n. 11/2016, che propugna la «previsione di specifiche tecniche», sia «nei criteri di aggiudicazione di un appalto», sia «nelle condizioni di esecuzione» dell’appalto medesimo, sia «nei criteri per la scelta delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione», tali da garantire «l’accessibilità» dei soggetti portatori di disabilità, in conformità agli standard europei.

Al pari del “vecchio” Codice degli appalti (D.Lgs. n. 163/2006), anche il “nuovo” Codice è di derivazione europea; in particolare, l’art. 112, D.Lgs. n. 50/2016 recepisce l’art. 20, dir. 2014/24/UE, l’art. 38, dir. 2014/25/UE, l’art. 24, dir. 2014/
23/UE [2].

Ed è proprio dalla normativa sovranazionale che occorre partire per comprendere quanto siano stati rilevanti, in questa materia, gli input lanciati dall’Europa, sin dalla fine degli anni ’90 e quanto abbiano influito sulla regolamentazione nazionale, che nel corso degli anni ha promosso policy diversificate di inclusione sociale rivolte a disabili e svantaggiati.

A tal proposito, non si possono non menzionare i due modelli paradigmatici di inclusione promossi rispettivamente dalla legge n. 381/1991 e dalla legge n. 68/1999.

La prima legge, nell’istituzionalizzare il profilo della cooperazione nell’ambito del sociale, ha inteso promuovere, attraverso una particolare tipologia di cooperative [quelle c.d. di tipo b)], che operano attraverso «lo svolgimento di attività diverse - agricole, industriali, commerciali, di servizi, la finalità dell’«inserimento lavorativo di persone svantaggiate»: esse hanno la possibilità di svolgere attività lavorativa retribuita e, compatibilmente con il proprio stato soggettivo, di essere soci ordinari delle cooperative sociali di tipo b), purché costituiscano almeno il 30% rispetto al complesso dei lavoratori della compagine mutualistica (art. 4, comma 2) [3]. Di recente, poi, il legislatore ha attribuito all’altra tipologia di cooperative [quelle c.d. di tipo a)] un importate ruolo di supporto, affidando loro la gestione di «servizi finalizzati all’inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro» di lavoratori molto svantaggiati (ex art. 2, n. 99), reg. UE n. 651/2014) e di persone svantaggiate o con disabilità (ex art. 112, comma 2, D.Lgs. n. 50/2016), nonché di persone beneficiarie di protezione internazionale (ex D.Lgs. n. 251/2007) e persone senza fissa dimora, le quali versino in una condizione di povertà tale da non poter reperire e mantenere un’abitazione in autonomia [4].

Dunque, un importante strumento di «politica occupazionale attiva» diretto a sostenere l’«integrazione e [la] promozione effettiva della persona», attraverso l’attività lavorativa prestata nell’ambito della cooperativa sociale: così, per un verso, il lavoro diviene strumento funzionale «al superamento della (...) situazione di svantaggio» del soggetto [5]; per un altro, l’inserimento lavorativo costituisce un requisito «indefettibile e caratterizzante dell’agire [delle cooperative] (...), fino a giungere a sovrapporsi, almeno parzialmente con l’obiettivo sociale della loro attività» [6]. Una misura, questa, che risulta «per la persona interessata, di gran lunga più efficace e, per la società, economicamente più conveniente di ogni forma di mera assistenza» [7].

Ma il legislatore ha affrontato il tema dell’inserimento lavorativo dei disabili anche attraverso le disposizioni in materia di governo del mercato del lavoro e, in particolare, con quella parte della normativa sul c.d. collocamento obbligatorio emanata alla fine degli anni ’60 (legge n. 482/1968), successivamente rimaneggiata e confluita nella legge n. 68/1999. Quest’ultima normativa segna una vera e propria transizione dal rigido garantismo della legge previgente, alla ricerca del «posto adatto confacente alla capacità globale residua» [8] del lavoratore disabile, nonché dall’«ap­proc­cio afflittivo-sanzionatorio», all’«approccio premiale» nei confronti dei datori di lavoro obbligati ad assumere questi lavoratori, atteso che «il disabile non è più considerato soggetto improduttivo, ma lavoratore a tutti gli effetti, se destinatario di un corretto inserimento» [9]. Così, per promuovere l’integrazione sociale dei disabili e il pieno sviluppo della loro persona, il legislatore mira a favorirne l’inserimento nel mondo del lavoro, attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato, nell’ot­tica di valorizzarne le abilità residue e la professionalità e considerarli una vera e propria risorsa per l’azienda, in grado di apportare un valore aggiunto pari a quello degli altri dipendenti. Un modello, questo, che strutturalmente ha resistito anche agli ultimi interventi di riforma [10], attraverso i quali il legislatore, nell’ottica di razionalizzare e revisionare procedure e adempimenti in materia [11], e attraverso un metodo combinato tra intervento diretto e delegificazione [12], ha sottoposto la legge n. 68/1999 ad una significativa operazione di restyling [13].

È evidente che i modelli brevemente richiamati siano diversi, per natura - impositivo, quello ex legge n. 68/1999, volontario e fondato su incentivi, quello ex legge n. 381/1991, - e per sfera soggettiva di applicazione, in quanto, mentre quest’ultima normativa «mostra aggiornata sensibilità nel cogliere le dimensioni dell’handicap (fisico e sociale) nell’accesso al mercato del lavoro» [14], includendo tra i beneficiari tutte quelle categorie per le quali risulta effettivamente più arduo l’inserimento lavorativo; invece, la legge n. 68/1991, nell’individuare i disabili quali destinatari dell’avvia­mento (coattivo) al lavoro, delimita l’ambito della tutela ai portatori di handicap psicofisico e, quindi, alle sole persone che presentano specifiche minorazioni (infra[15].

A questi modelli di inclusione a favore di diverse categorie di soggetti “deboli” (disabili e/o svantaggiati) si sono affiancati peculiari strumenti legislativi diretti a favorire il perseguimento della finalità inclusiva attraverso una deroga alle condizioni normali di concorrenza, in favore di soggetti, tra cui le cooperative sociali «che vocazionalmente impiegano manodopera svantaggiata» [16]: ci si riferisce, per un verso, alle convenzioni ex art. 5, legge n. 381/1991, e per un altro, al regime dei c.d. appalti riservati.

L’analisi si soffermerà proprio su due questi strumenti così diversi quanto a presupposti, ambiti applicativi e fattispecie oggetto di regolazione, eppure, come ha recentemente evidenziato l’Autorità nazionale anticorruzione [17] recependo le indica­zioni della giurisprudenza amministrativa, così affini nella loro «identica natura eccezionale (e derogatoria rispetto alla disciplina comune)» e nella ratio ispiratrice, ossia il perseguimento di finalità di utilità sociale [18].

2.  La “vocazione sociale” degli appalti pubblici: le sollecitazioni provenienti dall’Europa

È indubbio che la valorizzazione della dimensione sociale degli appalti pubblici sia diventata un obiettivo rilevante in ambito europeo [19], tant’è che la normativa, prima orientata a disciplinare gli appalti per regolare la concorrenza e la paritaria partecipazione delle imprese europee al mercato, in linea con i successivi indirizzi della Commissione europea, ha poi puntato a realizzare una graduale integrazione dei criteri sociali nella regolamentazione degli appalti pubblici [20].

Tale finalità, già messa in luce nel Libro Verde alla fine degli anni ‘90 [21], viene ribadita, in un primo momento, mediante strumenti di soft law. Ci si riferisce, in particolare, a due Comunicazioni (del 1998 e del 2001) [22], attraverso le quali la Commissione ha inteso sottolineare la rilevanza «primordiale» della politica sociale nell’azione comunitaria, in virtù del progressivo ridimensionamento della prospettiva secondo cui «l’interesse economico in materia di appalti rappresentava l’obiet­ti­vo primario ed assoluto, da perseguire e realizzare», sebbene si trattasse ancora di timide aperture, in quanto le clausole sociali erano «ammesse, in una posizione di subordinazione, nella misura in cui non produc[essero] effetti distorsivi e limitativi del mercato» [23].

In tale prospettiva, l’obiettivo di favorire la tutela di determinati soggetti svantaggiati è perseguito attraverso misure differenziate. Infatti, nella prima Comunicazione, si promuovono idonee «azioni positive» mirate alla «costituzione di un mercato ristretto» a favore di soggetti che assumono persone con disabilità e che ragionevolmente si troverebbero in difficoltà a «sostenere la concorrenza di imprese commerciali classiche», con un regolare livello di produttività [24]; mentre, nel secondo documento, si riconosce la possibilità di applicare criteri e/o clausole contrattuali in materia sociale sia nella fase della selezione dei candidati o offerenti [25], sia in quella dell’esecuzione dell’appalto [26].

Qualche anno più tardi, la valorizzazione della dimensione sociale degli appalti pubblici diventa un obiettivo vincolante per gli Stati membri, in quanto affidata a strumenti di hard law. Infatti, attraverso la dir. 2004/18/CE (e la direttiva gemella 2004/17/CE) [27], il legislatore comunitario accoglie le indicazioni della Commissione compendiate nelle Comunicazioni sopra richiamate, rivelando, sin dai considerando, l’intento di potenziamento di «questa sorta di “funzione sociale” della concorrenza» e, quindi, di «promozione della persona rispetto alle ferree e omologanti leggi del mercato» [28]. Così, attraverso una previsione di cui è stata evidenziata l’in­dubbia bivalenza, in virtù della duplice finalità, sociale ed economica, di cui si fa promotrice, si punta, per un verso, a tutelare situazioni di svantaggio e, per un altro, a garantire la capacità concorrenziale di determinati soggetti [29]. In particolare, dopo aver fatto riferimento ai «laboratori protetti» e ai «programmi di lavoro protetti», quali strumenti efficaci per «promuovere l’integrazione o la reintegrazione dei disabili nel mercato del lavoro», si prendono in considerazione le difficoltà cui potrebbero andare incontro i suddetti laboratori ad operare in normali condizioni concorrenziali e ad aggiudicarsi degli appalti, e, a tal fine, si riconosce agli Stati membri l’opportunità di prevedere una doppia riserva: di «partecipazione alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici» a favore di detti laboratori oppure di «esecuzione degli appalti nel contesto di programmi di lavoro protetti» [30].

In attuazione di queste premesse, il legislatore comunitario, nell’intento di distinguere due ipotesi, l’una «generica» e l’altra «specifica» [31], per un verso, riconosce alle amministrazioni aggiudicatrici la possibilità di «esigere condizioni particolari» nell’esecuzione dell’appalto, comprese quelle basate su «considerazioni sociali e ambientali», purché «compatibili con il diritto comunitario e (...) precisate nel bando di gara o nel capitolato d’oneri» [32]; per un altro, in linea con quanto anticipato nella Comunicazione del 2001 [33], introduce per la prima volta la figura del c.d. appalto riservato [34]. Si tratta di un regime particolare, che in attuazione dei principi esposti nelle premesse delle Direttive, risulta fondato su una duplice riserva operante sia sub specie di “riserva di partecipazione” alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, a favore dei laboratori protetti, sia sub specie di “riserva di esecuzione” di programmi di lavoro protetti, laddove «la maggioranza dei lavoratori interessati è composta di disabili», impossibilitati, a causa «della natura o della gravità del loro handicap», ad «esercitare un’attività professionale in condizioni normali».

È indubbio che il legislatore comunitario abbia inteso introdurre una disposizione derogatoria rispetto ai tradizionali meccanismi di selezione della dinamica concorrenziale, al fine di favorire determinati soggetti giuridici e specifici programmi che promuovono l’integrazione o la reintegrazione dei disabili nel mercato del lavoro; è altrettanto evidente, però, che non viene fornita la strumentazione necessaria per rendere operativa questa deroga, considerato che i contorni degli istituti richiamati («laboratori protetti» e «programmi di lavoro protetti») non sono affatto delineati nelle Direttive in esame. In effetti, tali istituti fanno la loro comparsa per la prima volta, a livello comunitario, nel 2001, in un altro documento, dove si prevede la possibilità degli Stati membri di riservare «taluni appalti a programmi per posti di lavoro protetti o laboratori protetti, di cui fa menzione il bando di gara», precisando che si tratta di programmi o laboratori caratterizzati dall’impiego di oltre la metà di soggetti portatori di handicap, i quali in ragione della natura o della gravità della menomazione «non possono esercitare un’attività professionale in condizioni normali di lavoro e ai quali è offerta la sicurezza connessa a un contratto di lavoro o di apprendistato per la riqualificazione professionale» [35].

Nel 2014, la regolamentazione degli appalti pubblici è stata oggetto di un rilevante processo di riforma, in ragione dell’approvazione, a livello europeo, di tre nuove direttive in materia di appalti e concessioni pubblici: si tratta delle dir. 2014/24/UE, 2014/25/UE e 2014/23/UE [36], che confermano l’obiettivo della normativa europea di valorizzare ulteriormente il ruolo delle imprese sociali che hanno come scopo l’integrazione o la reintegrazione sociale e professionale dei soggetti svantaggiati [37], in perfetta coerenza con i propositi manifestati dalla Commissione in una Comunicazione ad hoc del 2011 [38]. Ed è quanto si ricava sin dai preamboli delle Direttive, dove riemerge espressamente il connubio tra valenza sociale e valenza economica di alcune previsioni, in quanto, per un verso, si riconosce la rilevanza del ruolo che i «laboratori protetti» e le «altre imprese sociali» possono svolgere ai fini dell’«integrazione o reintegrazione sociale e professionale» delle persone disabili e dei soggetti svantaggiati («disoccupati, persone appartenenti a minoranze svantaggiate o comunque a categorie socialmente emarginate»), per un altro, si ribadisce la possibilità degli Stati membri di attivare lo strumento della doppia riserva - in via alternativa - (di «partecipazione alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici o di determinati lotti di appalti» o di «esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti»), per consentire a tali soggetti di operare in condizioni di concorrenza normali, altrimenti difficilmente raggiungibili [39].

In tale prospettiva, sempre nel preambolo delle direttive, la «promozione del­l’in­tegrazione sociale di persone svantaggiate o di membri di gruppi vulnerabili tra le persone incaricate dell’esecuzione dell’appalto» diventa non solo uno dei «criteri sostanziali» alla luce dei quali si possa effettuare la valutazione del rapporto qualità/prezzo di servizi e forniture, «evita[ndo] così il ricorso al sorteggio quale unico mezzo di aggiudicazione dell’appalto», ma anche una delle «misure» da inserire tra i «criteri di aggiudicazione» o tra le «condizioni di esecuzione dell’appalto» [40], cosicché la violazione degli obblighi sociali, tra cui quelli diretti a promuovere l’ac­cessibilità per le persone disabili, va interpretata come sintomo d’inaffidabilità del­l’operatore economico, a causa della discutibilità della sua integrità, e, dunque, motivo di esclusione dall’aggiudicazione di un appalto pubblico, a prescindere dal possesso della capacità tecnica ed economica per eseguirlo [41].

In attuazione di queste premesse, le disposizioni “gemelle” contenute nelle tre direttive ripropongono la disposizione in materia di appalti riservati, ma con alcune novità riguardo sia alla collocazione sistematica delle norme, sia al contenuto. In particolare, si riconosce agli Stati membri la possibilità di prevedere la riserva del «diritto di partecipazione alle procedure di appalto» a favore di «laboratori protetti» e di «operatori economici» che abbiano quale finalità principale l’«integrazione sociale e professionale» di soggetti disabili o svantaggiati oppure la riserva di esecuzione «nel contesto di programmi di lavoro protetti», se almeno il 30 % dei lavoratori (dei suddetti laboratori, operatori economici o programmi) sia composto da persone con disabilità o in condizione di svantaggio [42].

Per quanto riguarda gli aspetti innovativi sul piano della collocazione sistematica delle norme in esame, c’è da rilevare che esse non sono più contenute nelle Sezioni delle Direttive dedicate al «Regime particolare», bensì nelle «Disposizioni generali», a riprova del più ampio respiro attribuito ad esse dal legislatore europeo.

Quanto al contenuto, rispetto alle precedenti formulazioni normative che, quale presupposto per la riserva, prevedevano che la maggioranza - quindi il 50% e oltre - dei lavoratori interessati fosse composta di soggetti disabili, le norme vigenti richiedono una percentuale inferiore (almeno il 30%); inoltre, se prima lo svantaggio era limitato alla sola disabilità, attualmente, invece, si assiste ad un ampliamento della categoria e, quindi, della platea dei beneficiari.

Dalla breve analisi condotta sulle fonti sovranazionali in materia di appalti pubblici, emerge chiaramente come la questione dell’inclusione sociale delle persone disabili e dei soggetti svantaggiati sia da tempo presente nell’agenda del legislatore europeo, in perfetta sintonia con i principi enunciati e con le azioni messe in campo a livello internazionale. In tale ambito, infatti, la promozione dell’integrazione - soprattutto dei soggetti disabili - è stata perseguita, sin dagli anni ’70, attraverso la combinazione di policy di inclusione sociale e strategie antidiscriminatorie, anche se solo con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità [43], si è realizzato un vero e proprio mutamento di «“paradigma” rispetto al tradizionale modo di intendere la disabilità», riconoscendo il soggetto disabile quale «soggetto titolare di potenzialità, il cui apporto umano, sociale ed economico alla collettività può contribuire ad incrementare il senso di appartenenza generale alla stessa» [44].

Tale documento, «riconoscendo i preziosi contributi, esistenti e potenziali, apportati da persone con disabilità in favore del benessere generale e della diversità delle loro comunità» e considerando l’importanza di coinvolgere attivamente questi soggetti «nei processi decisionali inerenti alle politiche e ai programmi, inclusi quelli che li riguardano direttamente» (lett. m) e o) del Preambolo), mira a «promuovere, proteggere e assicurare» il loro «pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali» e «il rispetto per la loro intrinseca dignità» (art. 1, comma 1), anche attraverso «la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società». In particolare, per quanto concerne lavoro e occupazione, la Convenzione afferma il diritto all’opportunità di mantenersi attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato «in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, che favorisca l’inclusione e l’accessibilità alle persone con disabilità», con l’obiettivo di impedire qualsiasi forma di discriminazione sia nell’accesso al lavoro, sia nello svolgimento del rapporto e di garantire ai disabili l’esercizio dei propri diritti del lavoro e sindacali su base di eguaglianza con gli altri (art. 27).

3. Le policy di inclusione sociale nel quadro normativo nazionale: dal modello degli affidamenti in deroga ex art. 5, legge n. 381/1991 ...

Per quanto riguarda la normativa nazionale, come anticipato, la legge n. 381/1991, nell’ottica di creare ulteriori opportunità occupazionali per i soggetti svantaggiati attraverso il modello della cooperazione sociale e, quindi, in attuazione dell’art. 45 Cost., consente l’affidamento di appalti pubblici, a cooperative sociali di tipo b), anche in deroga alla disciplina generale sui contratti della pubblica amministrazione, purché ricorrano determinate condizioni. In particolare, «nel quadro di una gestione delegata dei servizi» [45], l’art. 5, comma 1, prevede che gli enti pubblici (compresi quelli economici) e le società di capitali a partecipazione pubblica possano stipulare convenzioni con le cooperative sociali di tipo b), aventi ad oggetto la fornitura di determinati beni e servizi (diversi da quelli socio-sanitari ed educativi) e finalizzate alla creazione di opportunità di lavoro per i soggetti svantaggiati di cui all’art. 4, derogando alla normativa di cui al Codice dei contratti pubblici, purché detti affidamenti siano di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria.

Anche ad una lettura superficiale della norma, risaltano due profili di particolare interesse: il primo riguarda il “coinvolgimento” delle cooperative sociali e il secondo attiene al ricorso alla convenzione, quale “strumento privilegiato” per l’inse­ri­mento lavorativo dei soggetti svantaggiati.

Quanto al primo profilo, occorre evidenziare come, nella norma, la considerazione di aspetti sociali non avviene tramite il ricorso alle ordinarie procedure di aggiudicazione, dalle quali, invece, ci si discosta in ragione dell’attenzione particolare riservata dal legislatore ad un particolare tipo di imprese sempre più coinvolte nei processi di esternalizzazione dei servizi alla persona messi in atto dalle amministrazioni pubbliche (soprattutto locali), le quali reputano più opportuno e conveniente acquistare tali servizi, invece di produrli direttamente [46].

È stata proprio l’ANAC, a ribadire, di recente, l’importanza del terzo settore nel nostro Paese, dal punto di vista sia sociale, per la natura dei servizi resi, sia occupazionale, ritenendo che la scelta organizzativa cui sempre più frequentemente ricorrono le pubbliche amministrazioni presenti il «vantaggio di promuovere un modello economico socialmente responsabile in grado di conciliare la crescita economica con il raggiungimento di specifici obiettivi sociali», quali, per esempio, l’incre­men­to occupazionale e l’integrazione sociale [47].

Le cooperative sociali, quindi, da tempo rappresentano un prezioso strumento di inclusione sociale di soggetti deboli, in quanto, creando un ambiente che valorizza le potenzialità umane e relazionali di questi soggetti anche nello svolgimento del­l’at­tività lavorativa, li prepara ad affrontare meno traumaticamente il passaggio futuro ad un reale contesto aziendale in cui esercitare un ruolo attivo e funzionale al processo produttivo, sempre che queste particolari imprese sociali non diventino il canale abituale di reclutamento di soggetti in difficoltà con il conseguente rischio di «alimentare un mercato del lavoro separato» [48] e di realizzare «una sorta di “ghettizzazione” dei disabili» al loro interno, escludendoli dal «mercato del lavoro c.d. “ordinario”» [49].

Quanto, invece, al secondo profilo, come è noto, il legislatore ha fatto ricorso altre volte alle convenzioni, soprattutto nell’ambito del sistema del collocamento mirato costruito con la legge n. 68/1999, affidandosi così a questi strumenti di «flessibilità concordata» [50] per promuovere l’inserimento e l’integrazione lavorativa dei disabili, attraverso «una gestione consensuale, anziché coercitiva, nell’avviamento al lavoro» [51] di questi soggetti, nonché un migliore adattamento tra le differenti situazioni e condizioni di questi ultimi e le esigenze dell’organizzazione produttiva [52]. Non a caso le convenzioni sono state definite una delle «parti più innovative e qualificanti della riforma del diritto al lavoro dei disabili» [53], in quanto nell’«ampio e duttile contenitore» [54] convenzionale sono concentrati gli elementi principali della transizione dal collocamento obbligatorio a quello mirato e, dunque, rappresentano la «chiave di lettura» del complessivo sistema di tutele delineato dalla legge [55].

Tornando alle modalità attuative dello strumento di cui all’art. 5, legge n. 381/
1991, è evidente che, nell’introdurre lo specifico “regime di favor”, in alternativa alle ordinarie procedure di aggiudicazione, il legislatore si preoccupa di definirne l’ambito e la portata, attraverso la previsione di una serie di limiti soggettivi e oggettivi [56].

Sotto il profilo soggettivo, i beneficiari delle convenzioni sono soltanto le cooperative della seconda tipologia; di contro, quelle di tipo a) concorrono sul mercato con gli altri operatori economici in caso di affidamento mediante procedure ad evidenza pubblica dei servizi socio-sanitari ed educativi, nonché delle altre «attività di interesse generale» introdotte dall’art. 17, D.Lgs. n. 112/2017 (supra).

Inoltre, deve essere rispettata la condizione della presenza delle persone svantaggiate nella misura minima del 30%, percentuale che, secondo l’interpretazione avanzata dall’Anac alla luce delle finalità sociali della norma, va riferita sia al numero complessivo dei lavoratori della cooperativa, sia a quello che esegue le singole prestazioni dedotte in convezione; diversamente si rischierebbe di perseguire soltanto parzialmente la finalità inclusiva dei soggetti svantaggiati, a fronte di una rilevante compressione della concorrenza, violando così i canoni di adeguatezza e proporzionalità dell’azione amministrativa [57]. Secondo questa interpretazione, dunque, l’affidamento sarà legittimo se i lavoratori svantaggiati rappresentino non solo il 30% dell’organico, ma anche il 30% degli esecutori della prestazione: a tal riguardo, la stazione appaltante è tenuta a verificare l’impiego per singolo affidamento della percentuale indicata. L’obiettivo è che le cooperative, dalle commesse pubbliche, possano ricavare i finanziamenti necessari per creare nuove opportunità di lavoro per i soggetti svantaggiati, purché, almeno il 30% di questi sia impiegato nel­l’esecuzione delle prestazioni oggetto della convenzione; al contrario, non sarebbe ammissibile che la cooperativa, destinataria di una commessa, non impiegasse alcun lavoratore svantaggiato nello specifico servizio oggetto dell’affidamento, ma utilizzasse le entrate provenienti dalla commessa per assumere un disabile (inidoneo allo svolgimento del suddetto servizio) nell’ambito di un servizio diverso&nbnbsp;[58].

D’altronde, già in passato l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture [59] ha avuto modo di evidenziare l’«immediata finalizzazione delle convenzioni (...) all’interesse generale di favorire l’inserimento nel mercato del lavoro di soggetti a rischio di esclusione sociale», ritenendo, quindi, «coessenziale alla legittima applicazione della (...) normativa speciale» l’effettivo impiego di persone svantaggiate delle stesse cooperative convenzionate nella realizzazione dei servizi affidati dalle amministrazioni pubbliche, nel rispetto di un «progetto di inserimento negoziato» con le amministrazioni stesse [60].

Costituisce, poi, condizione soggettiva ex lege per beneficiare della deroga in esame e, quindi, per la successiva stipula della convenzione, che evidentemente rap­presenta la fonte delle obbligazioni delle parti, l’iscrizione della cooperativa all’albo regionale (di cui all’art. 9, legge n. 381/1991) [61]; essa viene effettuata sulla base del possesso di una serie di requisiti attinenti alla capacità professionale ed economico-finanziaria della cooperativa e deve perdurare per l’intera durata dell’affidamento, sicché la cancellazione dall’albo si considera quale causa risolutiva della convenzione [62].

Inoltre, secondo l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, recepito dal­l’ANAC, la suddetta iscrizione prova l’«obiettiva qualità di cooperativa sociale» ai sensi della legge del 1991, ma non limita la «sua capacità operativa al solo ambito territoriale corrispondente alla regione nel cui albo essa è iscritta», in quanto tale «limitazione sarebbe contraria alla stessa logica della normativa, finalizzata alla disciplina di un fenomeno di rilievo nazionale» [63].

Occorre anche precisare che, nella logica di ampliare l’ambito dei beneficiari della deroga, oltre ai consorzi costituiti come società cooperative aventi la base sociale formata in misura non inferiore al 70% da cooperative sociali, ai quali, in realtà, si applicano tutte le disposizioni della legge n. 381/1991, quest’ultima, in attuazione del principio di non discriminazione affermato dal TUE, riconosce la possibilità di convenzionarsi con gli enti pubblici italiani anche ad analoghi operatori aventi sede in altri Stati membri dell’Unione europea, i quali dovranno essere in possesso di requisiti equivalenti a quelli richiesti per l’iscrizione all’albo regionale e risultare iscritti in apposite liste regionali ovvero, in alternativa, saranno tenuti a dimostrare attraverso idonea documentazione il possesso dei requisiti stessi oppure la presenza del 30% di persone svantaggiate nella compagine sociale (art. 5, comma 2) [64].

Dal punto di vista oggettivo, invece, il “regime di favore” per le cooperative di tipo b) è ammesso in presenza di tre presupposti, la cui permanenza va verificata dalle stazioni appaltanti anche in fase di esecuzione [65].

In primis, gli affidamenti devono avere ad oggetto solo la fornitura di beni e servizi strumentali diversi da quelli socio-sanitari, cioè svolti in favore della pubblica amministrazione e riconducibili ad esigenze strumentali della stessa; la giurisprudenza, infatti, trattandosi di una norma in deroga al principio di concorrenza, ne esclude un’interpretazione in senso estensivo, ritenendo che lo strumento convenzionale non possa essere impiegato per contratti diversi da quelli specificamente indicati dal legislatore (per es., contratti aventi ad oggetto l’esecuzione di lavori pubblici o la gestione di servizi pubblici locali di rilevanza economica) [66].

In secondo luogo, detti affidamenti devono essere finalizzati a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate. Ciò significa che il modello convenzionale, alla luce delle particolari finalità sociali che, da un lato, caratterizzano (ma non esauriscono) gli obiettivi della cooperativa che richiede il convenzionamento e, dall’altro, legittimano l’amministrazione, che condivide tali obiettivi, a ricorrere al regime in deroga, assume «natura bivalente, giacché presenta un oggetto “complesso”, inclusivo tanto della fornitura di beni e servizi, quanto della creazione di nuove opportunità di lavoro per soggetti svantaggiati» [67].

In realtà, l’obiettivo sociale del reinserimento lavorativo (nonché il successivo monitoraggio qualitativo e quantitativo), che l’ente si propone di perseguire grazie alla scelta del fornitore di beni o servizi, non risulta disciplinato in modo chiaro dalla legge n. 381/1991 [68]; è stata l’ANAC a chiarire che esso debba essere esplicitamente indicato, già a monte, ossia nella determina a contrarre adottata dalla stazione appaltante [69]. Ciò anche alla luce della facoltatività dell’utilizzo del modulo convenzionale, ben potendo l’ente pubblico (o la società a partecipazione pubblica) soddisfare lo stesso interesse attraverso strumenti differenti, come per esempio, un ordinario affidamento di appalto pubblico secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa che consideri criteri sociali. Trattandosi di una scelta discrezionale, infatti, essa deve essere «adeguatamente motivata in relazione alle ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano», nel rispetto del principio di adeguatezza che sostiene e indirizza l’azione amministrativa e che, sia in fase di programmazione, che nella convenzione, richiede l’esplicitazione delle esigenze sociali da realizzare, mentre, in sede di esecuzione della convenzione, impone la previsione di appositi controlli per verificare, oltre al rispetto degli standard indicati nell’offerta (condizione comune a tutti gli affidamenti di lavori, servizi e forniture) e al permanere delle condizioni di partecipazione (tra cui l’iscrizione all’albo), anche il soddisfacimento di dette esigenze [70].

D’altro canto, come ha avuto modo di chiarire la giurisprudenza amministrativa, il ricorso allo strumento convenzionale non si deve tradurre in «una completa deroga al generale obbligo di confronto concorrenziale», poiché l’impiego di risorse pubbliche impone «il rispetto dei principi generali della trasparenza e della par condicio» [71]. Alla luce di tale orientamento, che il legislatore ha inteso recepire, l’art. 5, comma 1, è stato integrato con un nuovo periodo, che impone espressamente il preventivo svolgimento di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei suddetti principi di trasparenza, di non discriminazione e di efficienza [72].

Secondo l’ANAC l’unico criterio di selezione delle offerte compatibile con l’og­getto degli affidamenti a cooperative sociali di tipo b) è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa [73], in quanto consentendo di attribuire rilievo a elementi oggettivi, legati alla realizzazione di particolari obiettivi di valenza non economica, permette alla stazione appaltante di valutare l’effettivo perseguimento della finalità di reinserimento dei lavoratori, in linea con le recenti disposizioni europee (e con le rispettive norme nazionali di recepimento), secondo cui risulta «possibile valutare il rapporto qualità/prezzo sulla base di fattori diversi dal solo prezzo o dalla sola remunerazione» e comprendenti, invece, «aspetti ambientali o sociali» [74].

L’ultimo requisito oggettivo consiste nella fissazione di un tetto al valore degli affidamenti in deroga; infatti, il legislatore precisa che il ricorso al modello convenzionale è ammissibile per la fornitura di beni e servizi il cui importo stimato (al netto di Iva) sia inferiore alle soglie comunitarie [75]. L’ANAC ha precisato che il valore di tali affidamenti va calcolato in conformità alle disposizioni contenute nel Codice dei contratti pubblici, includendo, quindi, il valore di eventuali rinnovi, da prevedere espressamente già al momento di indizione della procedura di scelta del contraente [76].

Per gli affidamenti di importo superiore alle soglie comunitarie, pur sussistendo «l’interesse pubblico ad agevolare il reinserimento lavorativo di soggetti svantaggiati», le stazioni appaltanti «non possono prevedere “affidamenti preferenziali”» per le cooperative di tipo b), ma sono tenute a rispettare le disposizioni del Codice dei Contratti, che com’è noto, consentono il soddisfacimento di esigenze sociali o medianti gli appalti riservati (infra) o per mezzo dell’inserimento nei bandi di criteri di selezioni premianti riguardanti l’impiego di lavoratori svantaggiati ovvero attraverso la previsione di specifiche clausole di esecuzione. A tal proposito, è sempre l’art. 5, legge n. 381/1991 che prevede, per la fornitura di beni o servizi diversi da quelli socio sanitari ed educativi, di valore pari o superiore alle soglie comunitarie, la possibilità di inserire nei bandi di gara e nei capitolati d’oneri, fra le condizioni di esecuzione, quella di eseguire il contratto attraverso «l’impiego di persone svantaggiate» e quella di adottare «specifici programmi di recupero e di reinserimento lavorativo» (comma 4). In sostanza, in questa tipologia di affidamenti, la finalità dell’in­serimento lavorativo dei soggetti svantaggiati non si realizza mediante una deroga alle regole della concorrenza, bensì attraverso la previsione di specifiche clausole contrattuali - rivolte a qualunque soggetto partecipante - che diano rilievo ad aspetti sociali [77].

La norma riporta alla mente la possibilità di prevedere “clausole sociali” nell’e­se­cuzione dei contratti pubblici espressamente riconosciuta dal legislatore nell’am­bito del “vecchio” Codice dei contratti (art. 69, D.Lgs. n. 163/2006) e riproposta nel “nuovo” Codice del 2016 (art. 100, D.Lgs. n. 50/2016). Infatti, la disposizione vigente prevede che le stazioni appaltanti possano «richiedere requisiti particolari per l’esecuzione del contratto (...) [attinenti] ad esigenze sociali o ambientali», purché tali clausole, per un verso, «siano compatibili con il diritto europeo» e, in particolare, con alcuni principi fondanti dello stesso (parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, innovazione), e per un altro, «siano precisate nel bando di gara, o nell’invito in caso di procedure senza bando o nel capitolato d’o­neri». La norma precisa anche che, in sede di offerta, l’aggiudicatario sarà tenuto a dichiarare l’accettazione dei «requisiti particolari».

Per quanto in questa sede rileva, l’Autorità, che si è pronunciata sulla compatibilità di tali clausole con il diritto comunitario, per evitare che le stesse incidano negativamente sulle condizioni di concorrenzialità del mercato, «in modo tale da discriminare o pregiudicare alcune categorie di imprenditori» [78], in diverse occasioni, ha ritenuto che l’impiego di persone con disabilità, quale condizione di esecuzione del­l’appalto, sia conforme al disposto normativo (art. 69, D.Lgs. n. 163/2006) sia in quanto modalità di prestazione del servizio diretta al soddisfacimento di finalità sociali, sia in virtù della compatibilità con il diritto comunitario e con i principi del TCE richiamati [79].

4. Segue: ... agli appalti riservati nel “vecchio” e nel “nuovo” Codice dei contratti pubblici

Il perseguimento di obiettivi di solidarietà sociale connessi all’inclusione dei soggetti disabili e svantaggiati è stato riproposto anche nel D.Lgs. n. 163/2006, allorquando il legislatore, ha compiuto «una scelta di alleggerimento» di quella tensione che caratterizza qualsiasi diritto alla concorrenza e che riguarda i rapporti tra persona e mercato, attraverso la previsione di una «riserva di aggiudicazione a favore dell’handicap (...) in deroga alle regole strettamente economiche che governano le dinamiche concorrenziali» [80].

Così, riprendendo le indicazioni comunitarie [81], il “vecchio” Codice dei contratti pubblici non si limitava a riconoscere espressamente la possibilità di subordinare il principio di economicità (nel rispetto delle norme vigenti) a criteri (stabiliti dal bando) ispirati, fra le altre, ad esigenze sociali (art. 2, comma 2), nonché la facoltà delle stazioni appaltanti di «esigere condizioni particolari per l’esecuzione del contratto», attinenti anche ad «esigenze sociali o ambientali», purché compatibili con il diritto comunitario e precisate nel bando di gara (o nell’invito o nel capitolato d’oneri) (art. 69), ma, nella parte relativa ai «requisiti dei partecipanti alla procedure di affidamento», dedicata, quindi, ai profili soggettivi della procedura di appalto, introduceva, per la prima volta nel nostro ordinamento [82], un ulteriore strumento per aumentare le occasioni di lavoro delle persone disabili, facilitandone così l’inseri­mento lavorativo, ma, ancora una volta, operante attraverso un limite diretto alla concorrenza: i c.d. appalti riservati regolati dalla norma «paradigmatica» [83] contenuta nell’art. 52. Tale norma, infatti, prevedeva un regime di riserva, in virtù del quale le stazioni appaltanti, tenuto conto della tipologia ovvero dell’oggetto del singolo appalto, adattabile alla disabilità, avevano la facoltà di «riservare (...) a laboratori protetti (...) la partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici», oppure riservare l’attività di esecuzione «nel contesto di programmi di lavoro protetti, quando la maggioranza dei lavoratori interessati fosse composta da disabili», che per la natura o la gravità del loro handicap, fossero impossibilitati a «esercitare un’attività professionale in condizioni normali». Veniva anche fissata una condizione per l’applicazione della norma, in virtù della quale le stazioni appaltanti avrebbero dovuto rendere nota la propria intenzione di usufruire del “regime riservato” dandone indicazione nel bando di gara, attraverso il richiamo “espresso” e “necessario” dell’art. 52 [84]: ciò in quanto la natura derogatoria della norma esigeva che emergesse «con assoluta chiarezza e inequivocità l’intento della stazione appaltante di includerla nella lex specialis di gara» [85].

In ragione della collocazione sistematica della norma in esame, inserita nel Titolo I della Parte II del D.Lgs. n. 163/2006, la riserva era ammessa in tutti i contratti pubblici relativi tanto a lavori, quanto a servizi e forniture; inoltre, essa si considerava applicabile non solo agli appalti di valore superiore alla soglia comunitaria, ma, in assenza di un’espressa disposizione contraria, anche agli appalti sottosoglia [86], in relazione ai quali era ammesso l’affidamento diretto, mentre per i primi occorreva comunque «mettere in concorrenza il mercato riservato» [87].

Attraverso l’art. 52, dunque, il legislatore intendeva perseguire le esigenze sociali ex art. 2, comma 2, introducendo una deroga alle condizioni normali di concorrenza in favore di soggetti giuridici e di programmi che promuovessero l’integra­zio­ne o la reintegrazione dei disabili nel mercato del lavoro e, in piena corrispondenza con le norme europee (supra), prevedeva che tale deroga si attuasse per mezzo di una doppia riserva, differenziabile, in base al momento in cui essa operava, in riserva c.d. “di partecipazione” e riserva c.d. “di esecuzione”, e in base profilo soggettivo (laboratori protetti) e oggettivo (programmi di lavoro) di riferimento della deroga stessa, ma in ogni caso caratterizzata dall’impiego maggioritario dei disabili: la ratio, dunque, era sempre quella di salvaguardare la posizione di questi ultimi, «ponendoli la di fuori di meccanismi concorrenziali» [88].

In realtà, la formulazione poco felice della norma aveva sollevato più di un dubbio interpretativo non solo in merito alla riferibilità del limite quantitativo alla maggioranza dei disabili ad entrambe le ipotesi di riserva (ossia ai «laboratori protetti» e ai «programmi di lavoro protetti») oppure soltanto alla seconda [89], ma soprattutto perché i termini normativi di riferimento per il concreto funzionamento del regime derogatorio risultavano estremamente generici e indefiniti, mancando, nel nostro ordinamento, una nozione o una classificazione legislativa di «laboratori protetti» e di «programmi di lavoro protetti», tant’è che è dovuta intervenire l’AVCP per definire i contorni delle due fattispecie, ai fini dell’effettiva applicazione della norma [90].

Quanto all’individuazione dei soggetti disabili, l’AVCP si è riferita ovviamente alla legge n. 68/1999, anche se poi, nell’elencare le diverse categorie, incomprensibilmente ne ha dimenticate alcune [91], che sono, invece, espressamente menzionate tra i destinatari della normativa del 1999 [92] e, quindi, sarebbero state sicuramente da ricomprendere anche nella definizione di cui all’art. 52 [93].

In sostanza, l’AVCP, facendo coincidere l’incapacità di svolgere un’attività professionale in condizioni normali con lo stato di disabilità ex legge n. 68/1999, ha ristretto l’ambito applicativo della norma, in quanto ha escluso che tale incapacità potesse caratterizzare anche le persone che fossero sì portatrici di una disabilità, ma non ai sensi della suddetta legge, in senso difforme rispetto alla normativa comunitaria e, in particolare, al reg. CE n. 2204/2002 e al successivo reg. UE n. 651/2014. Infatti, mentre il primo Regolamento ha definito «disabili» non solo i lavoratori riconosciuti come tali ai sensi delle normative nazionali (quindi, ex legge n. 68/1999), ma anche quelli che, ancorché non rientranti nella categoria nazionale dei disabili normativamente definiti come tali, siano comunque affetti da «un grave handicap fisico, mentale o psichico», che impedisca loro di trovare un’occupazione in condizioni normali; il secondo Regolamento, confermando il richiamo alle normative nazionali quale primo criterio di identificazione, ha specificato meglio la precedente definizione, riferendosi anche a coloro che presentino «durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che, in combinazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione all’ambiente di lavoro su base di uguaglianza con gli altri lavoratori» [94].

Per quanto riguarda i «programmi di lavoro protetti», poi, l’AVCP ha precisato che la riserva a favore degli stessi non doveva fondarsi su requisiti soggettivi, bensì su profili di carattere oggettivo e, quindi, non «sulla qualifica soggettiva dei partecipanti alla gara», ma «sul ricorso, da parte delle imprese partecipanti, nella fase e­secutiva dell’appalto, all’impiego, in numero maggioritario, di lavoratori disabili che, in ragione della natura o della gravità del loro handicap, non [potevano] esercitare un’attività professionale in condizioni normali» [95].

Altro aspetto problematico riguardava il coordinamento tra l’art. 52 e le normative vigenti su cooperative sociali (legge n. 381/1991) e imprese sociali (D.Lgs. n. 155/2006 recentemente abrogato e sostituito dal D.Lgs. n. 112/2017), fatte espressamente salve dalla norma in questione [96]: è indubitabile che la clausola iniziale di salvaguardia ivi prevista era sintomatica della distinzione degli ambiti di operatività delle discipline -e, in particolare dell’art. 52 e della n. 381/1991 - che, pur perseguendo entrambe finalità sociali, avevano presupposti diversi. In particolare, secondo l’AVCP, dalla netta distinzione tra i presupposti e gli ambiti applicativi dell’art. 52 e quelli della legge n. 381/1991, scaturiva la divergenza tra le due figure di laboratorio protetto e cooperative sociali, alla luce della diversità dei requisiti richiesti per la configurabilità del primo, da quelli legislativamente imposti per l’operatività delle seconde [97]; tale diversità era rilevabile sul versante soggettivo, a livello sia qualitativo, con riferimento alle categorie di soggetti individuati (soltanto disabili, per il primo; disabili e soggetti svantaggiati, per le seconde), sia quantitativo, in relazione alla percentuale minima della loro presenza in organico richiesta dalle rispettive norme di riferimento (50%, + 1, per il primo; 30%, per le seconde). Da ciò la piena vigenza delle disposizioni della legge n. 381/1991 (art. 5) relative agli “affidamenti preferenziali” tramite convenzioni con le cooperative di tipo b) e di quelle relative all’inserimento, fra le condizioni di esecuzione, dell’obbligo di eseguire il contratto attraverso «l’impiego di persone svantaggiate» o l’adozione di «specifici programmi di recupero e di reinserimento lavorativo» (supra). Infatti, come ha avuto modo di precisare la giurisprudenza amministrativa, l’art. 5, legge n. 381/1991 e l’art. 52, D.Lgs. n. 163/2006, sebbene «accomunate dalla identica natura eccezionale (e derogatoria rispetto alla disciplina comune), e dalla medesima finalità di protezione delle persone svantaggiate (in attuazione dei principi costituzionali di uguaglianza e solidarietà)», presentano ambiti applicativi distinti e regolano «fattispecie del tutto differenti e non sovrapponibili tra di loro» [98].

Quanto, invece, ai requisiti richiesti per la partecipazione alla gara, il richiamo, contenuto nell’art. 52, al rispetto della normativa allora vigente, si doveva considerare riferito all’obbligo di osservare i «requisiti di ordine generale e di ordine speciale richiesti per la partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica»; sicché i soggetti che intendevano candidarsi a concorrere a una procedura riservata (ex art. 52) dovevano comunque essere in possesso dei suddetti requisiti di ordine generale, stabiliti tassativamente dall’art. 38, D.Lgs. n. 163/2006 e di quelli di carattere speciale, indicati negli artt. 39 ss. dello stesso decreto. Ciò in quanto gli obiettivi sociali cui è ispirato il regime di riserva di cui all’art. 52 potevano prevalere sul «principio di economicità» (ex art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 163/2006), ma non anche sull’e­sigenza di assicurare l’«affidabilità morale e professionale dell’operatore economico» o la «qualità delle forniture, delle prestazioni e delle opere» da svolgere nell’in­teresse della stazione appaltante [99].

Come preannunciato dall’AVCP, alcune questioni interpretative poste dall’art. 52, soprattutto quella relativa al coordinamento tra quest’ultima norma e l’art. 5, legge n. 381/1991, si sarebbero attenuate in seguito al recepimento della dir. 2014/24/UE (e delle Direttive gemelle [100]) ad opera della normativa nazionale.

In effetti, il D.Lgs. n. 50/2016, attraverso l’art. 112, ribadisce l’intentio legis di utilizzare il sistema degli appalti (ai quali vengono aggiunte le concessioni), per raggiungere obiettivi di solidarietà sociale, tuttavia, recependo quasi letteralmente le “nuove” disposizioni europee, introduce alcune importanti novità [101].

La norma nazionale, infatti, prevede la possibilità per le stazioni appaltanti, di «riservare il diritto di partecipazione alle procedure di appalto e (...) di concessione» (facendone menzione, ex comma 3, nel bando di gara o nell’avviso di preinformazione [102]) o di «riservarne l’esecuzione, ad operatori economici e a cooperative sociali e loro consorzi il cui scopo principale sia l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate», nonché la possibilità di «riservarne l’e­secuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti quando almeno il 30% dei lavoratori dei suddetti operatori economici» sia costituito da soggetti disabili o svantaggiati (comma 1).

Analogamente alla norma contenuta nel “vecchio” Codice dei contratti pubblici, viene confermata non solo l’espressa salvezza delle disposizioni in materia di cooperative sociali e di imprese sociali, ma anche l’attuazione della deroga attraverso una doppia riserva - di partecipazione o di esecuzione -, differenziabile, però, in base alle condizioni soggettive e oggettive rivisitate dalla nuova disposizione.

In particolare, dal punto di vista soggettivo, la norma contiene una definizione più ampia - rispetto alla previgente formulazione - dei soggetti che rientrano nel suo campo di applicazione, che include tutti gli operatori economici, comprese ovviamente le cooperative e i loro consorzi, impegnati nell’integrazione sociale e lavorativa dei disabili e degli svantaggiati. Quindi, scompare il richiamo ai «laboratori protetti», che aveva sollevato non pochi dubbi interpretativi, e viene sostituito da un riferimento più ampio, agli operatori economici e da uno più specifico, alle cooperative sociali e ai loro consorzi.

In sostanza, il legislatore, per garantire un’applicazione della riserva de qua conforme alle finalità perseguite dalla dir. 2014/24/UE (36° considerando), ha volutamente fatto ricorso a una definizione generica, quella di “operatori economici”, che possa includere “tutti” i soggetti che perseguono principalmente la finalità integrativa e, quindi, anche i «laboratori protetti», ancorché non espressamente citati, in quanto, secondo la definizione degli stessi offerta dall’AVCP (supra), si tratta di operatori economici con soggettività giuridica, che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata, avendo tra le loro finalità quella dell’in­serimento lavorativo delle persone disabili e nella propria organizzazione una maggioranza di tali lavoratori. Ciò, peraltro, trova conferma nelle previsioni dell’Al­legato XIV del D.Lgs. n. 50/2016, che, tra le «informazioni che devono figurare negli avvisi e nei bandi nei settori ordinari e speciali», include espressamente anche «l’in­dicazione, eventuale, se si tratta di un appalto riservato a laboratori protetti o la cui esecuzione è riservata nell’ambito di programmi di lavoro protetti» [103].

Sul piano oggettivo, invece, nell’ipotesi di «programmi di lavoro protetti», la norma pone un limite quantitativo e, riducendo la percentuale prevista nella formulazione precedente, stabilisce che almeno il 30% dei lavoratori impiegati da tali operatori devono essere costituiti da disabili o svantaggiati.

Risulta evidente, dunque, che l’indirizzo dato a livello europeo consenta una più ampia applicazione della riserva di cui all’art. 112.

La novità più significativa, però, riguarda le categorie dei beneficiari dell’in­serimento socio-lavorativo promosso dalla norma. Infatti, a differenza dell’art. 52, D.Lgs. n. 163/2006, che faceva riferimento esclusivamente ai soggetti disabili, la disposizione in esame fa riferimento anche alle persone svantaggiate. Inoltre, il legislatore, nel comma 2 dell’art. 112, si preoccupa di definire per relationem i soggetti rientranti nella prima e nella seconda categoria, attraverso un rinvio diretto alle normative di riferimento. In particolare, per quanto riguarda i portatori di disabilità, la norma, accogliendo l’interpretazione dell’AVCP, rinvia all’elenco contenuto nel­l’art. 1, legge n. 68/1999 (supra); invece, per l’individuazione delle persone svantaggiate, non solo richiama l’art. 4, legge n. 381/1991, ma riporta parzialmente l’e­lencazione dettata dalla norma (supra), lasciando fuori soltanto gli «invalidi fisici, psichici e sensoriali», probabilmente perché già ricompresi tra i disabili ex legge n. 68/1999.

L’apertura degli appalti riservati anche alle persone svantaggiate non è totale, in quanto, dalla formulazione poco chiara della norma, che pur richiamando genericamente le persone svantaggiate, poi si riferisce esplicitamente soltanto a quelle elencate nel suddetto art. 4, legge n. 381/1991, sembrerebbe desumibile l’esclusione di quelle categorie eterogenee di soggetti, caratterizzati da condizioni soggettive tali da limitarne fortemente l’accesso al mercato del lavoro, attualmente elencate nel reg. UE n. 651/2014 [104]: una restrizione, quella operata dall’art. 112, che sembrerebbe porsi in contrasto con le motivazioni della dir. 2014/24/UE, laddove si accoglie una nozione più ampia di “persone svantaggiate”, riferita a «disoccupati, persone appartenenti a minoranze svantaggiate o comunque categorie socialmente emarginate» (36° considerando).

In conclusione, questa tecnica promozionale basata sull’inserimento sociale e professionale dei disabili e degli svantaggiati quale condizione per l’accesso alla riserva, recentemente riproposta, seppur in versione riveduta e corretta, dal “nuovo” Codice dei contratti pubblici, in perfetta continuità con la scelta di politica del diritto operata dal legislatore nel “vecchio” Codice, può continuare a rappresentare una leva importante per le pubbliche amministrazioni, e in particolare per gli enti locali, al fine di dare vita ad un «quasi mercato» nel cui ambito favorire vere e proprie esperienze lavorative di questi soggetti, attivandoli e preparandoli verso un lavoro effettivo e sostituendo così al mero intervento assistenziale un progetto di autonomia lavorativa in vista di un ingresso più adeguato nel mercato del lavoro per queste persone che, altrimenti, ne resterebbero escluse.

In alternativa a questo strumento c’è sempre la chance offerta dagli affidamenti “preferenziali” tramite convenzioni ex art. 5, legge n. 381/1991 per gli appalti sotto soglia, che si può continuare a sfruttare al fine di «promuovere, attraverso la coprogrammazione sociale (...) e la relativa coprogettazione, una rete pubblico-privato per gli inserimenti lavorativi» (in cui gli affidamenti di commesse alla cooperative di tipo b) avvengano «in modo non competitivo»), «quale elemento portante del­l’adesione (...) [di queste ultime] alla funzione sociale pubblica» [105]: in tale prospettiva, la norma continua a meritare particolare attenzione da parte sia delle istituzioni, sia del mondo della cooperazione sociale.

[1] Il D.Lgs. n. 50/2016 è stato modificato e integrato, prima, dal D.Lgs. n. 56/2017, adottato ai sensi dell’art. 1, comma 8, legge n. 11/2016 e, successivamente, dal D.L. n. 50/2017, conv. in legge n. 96/2017. Sul “nuovo” Codice dei contratti pubblici, cfr. i contributi pubblicati in Garofalo D. (a cura di), Appalti e lavoro. Volume I - Disciplina pubblicistica, Giappichelli, Torino, 2017, Tomi I-II, in corso di stampa; cfr. anche Mastragostino (a cura di), Diritto dei contratti pubblici, Giappichelli, Torino, 2017; Garella, Mariani, Il Codice dei contratti pubblici. Commento al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, Giappichelli, Torino, 2016; Caringella-Mantini-Giustiniani (diretto da), Il nuovo diritto dei contratti pubblici. Commento organico al d.lgs. 50/2016, Dike Giuridica editrice, 2016. Torchia, Il nuovo Codice dei contratti pubblici: regole, procedimento, processo, in GDA, 2016, 5, 605, 611, evidenzia come il nuovo Codice, quale «prodotto di un’operazione di recepimento lunga e molto articolata», sia per i tempi impiegati, sia per il numero dei soggetti coinvolti nei procedimenti di consultazione in sede parlamentare e governativa, contenga molte novità importanti e sia destinato a diventare effettivamente «un Codice nuovo, e cioè uno strumento di innovazione e di modernizzazione». Analogamente, Chiti, Il sistema delle fonti nella nuova disciplina dei contratti pubblici, in GDA, 2016, 4, 436, sottolinea che, «malgrado una legge delega ipertrofica», il quadro delle fonti normative risulta particolarmente «innovato» dal nuovo Codice, mediante lo «snellimento della disciplina legislativa», «l’elimi­nazione del regolamento di esecuzione» (del 2010) e soprattutto attraverso «un sistema originale di norme secondarie incentrato sulle “linee guida”».

[2] La dir. 2014/24/UE, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici, abroga la precedente dir. 2004/18/CE; la dir. 2014/25/UE, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, abroga la precedente dir. 2004/17/CE; la dir. 2014/23/UE, del 26 febbraio 2014, disciplina l’aggiudicazione dei contratti di concessione. Chiti, Il sistema delle fonti ..., 439, evidenzia la «specifica matrice comunitaria» del diritto dei contratti pubblici, affermando che, anche in seguito all’attuazione delle tre direttive del 2014, «la disciplina primaria della materia rimane basata su tali direttive e (...) [sul] rispetto dei principi generali del diritto UE, in una scala sostanzialmente gerarchica di fonti contraddistinta dalla primazia del diritto dell’U­nio­ne sul diritto nazionale»; quindi, «anche a fronte di disposizioni nazionali puntuali e in apparenza “finali”», bisognerà sempre verificarne la compatibilità con le tre Direttive del 2014.

[3] La legge individua i destinatari dell’inserimento lavorativo attraverso un’elencazione parziale, integrabile con l’aggiunta di ulteriori categorie determinate con d.p.c.m., al termine di un articolato un procedimento che vede coinvolti, da un lato, alcuni Ministeri e, da un altro, la Commissione Centrale per le cooperative (art. 4, comma 1, legge n. 381/1991). Quanto ai soggetti che l’art. 4, comma 1, legge n. 381/1991, include nella categoria dei soggetti svantaggiati, si tratta di: invalidi fisici, psichici e sensoriali, ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari, soggetti in trattamento psichiatrico, tossicodipendenti, alcolisti, minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, persone detenute o internate negli istituti penitenziari, condannati e internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all’esterno (ex art. 21, legge n. 354/1975 s.m.i.).

[4] Cfr. artt. 2, comma 1, lett. p) e comma 4, lett. a) e b), D.Lgs. n. 112/2017 (sulla revisione della disciplina in materia di impresa sociale). Le cooperative di tipo a), originariamente, avevano per oggetto soltanto «la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi» (art. 1, comma 1, legge n. 381/1991). Que­st’ul­tima norma è stata integrata, di recente, dall’art. 17, D.Lgs. n. 112/2017, attraverso il riferimento a diverse attività «di interesse generale» che possono essere svolte dalle cooperative di tipo a): si tratta delle attività elencate dall’art. 2, comma 1, lett. a), b), c), d), l) e p) del medesimo decreto.

[5] Dondi, Sul lavoro nelle cooperative sociali, in RGL, 1999, I, 564 e 566.

[6] Cfr. Balducci, Il lavoro e il terzo settore, in Garofalo D.-Ricci M. (a cura di), Percorsi di diritto del lavoro, Bari, 2006, 584.

[7] Garofalo M.G., Legislazione e contrattazione collettiva nel 1991, in DLRI, 1992, 389.

[8] Così De Luca, Norme per il diritto al lavoro dei disabili (legge n. 12 marzo 1999, n. 68), in FI, 2000, V, 293.

[9] In tal senso, cfr. Garofalo D., Disabili (lavoro dei), in DDPcomm., Vol. V, Aggior., Appendice, Torino, 2009, 762 s.

[10] Ci si riferisce al D.Lgs. n. 151/2015 (artt. 1-13) e al successivo D.Lgs. n. 185/2016 (art. 5, comma 1).

[11] Cfr. art. 1, comma 4, lett. g) e aa), legge n. 183/2014.

[12] A parte alcune modifiche apportate alla legge n. 68/1999, il legislatore, per ragioni connesse ai tempi di attuazione della delega, sceglie di non attuare interventi radicali sull’impianto legislativo, rinviando a successivi decreti del Ministero del lavoro la definizione di linee guida ad hoc in materia di collocamento mirato, nel rispetto di una serie di principi che provvede a fissare (art. 1, comma 1, lett. a)-f)), D.Lgs. n. 151/2015). Garofalo D., Jobs act e disabili, in RDSS, 2016, 1, 95 parla di una «sorta di subappalto regolativo».

[13] Garofalo D., Jobs act ..., 89 s., sottolinea il duplice ambito di intervento della riforma, che toccando la sfera delle competenze, nonché la disciplina dell’avviamento al lavoro, mira a garantire un funzionamento più efficiente del sistema del collocamento mirato e a «fornire una qualche risposta» alla pronuncia di condanna inflitta, nel 2013, all’Italia dalla CGUE, sez. IV., 4 luglio 2013, causa C-312/11, in RIDL, 2013, 4, II, 922 (con note di Cinelli e di Lughezzani). Gragnoli, Il collocamento obbligatorio e le politiche attive, in RGL, 2016, I, 534, parla di un legislatore «attento a modificare molti aspetti della legge n. 68/1999, ma conservatore a proposito della sua struttura».

[14] Dondi, Sul lavoro ..., 567.

[15] A parte l’eccezione di cui all’art. 18, comma 2, - prevista in via transitoria fino all’emanazione di una disciplina ad hoc - riguardante profughi, nonché orfani e coniugi di caduti in guerra, per servizio o sul lavoro.

[16] Slataper, Le convenzioni con le cooperative sociali per favorire l’inserimento dei soggetti svantaggiati, in Miscione-Ricci M. (a cura di), Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro, Titoli I e II, Artt. 1-19, in Carinci F. (diretto da), Commentario al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Tomo I, Milano, 2004, 297, 304.

[17] D’ora in poi: ANAC, cui com’è noto, sono state trasferite le competenze in materia di vigilanza dei contratti pubblici, in seguito alla soppressione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ad opera della legge n. 114/2014.

[18] Così delibera ANAC 20 gennaio 2016, n. 32 - Determinazione Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali.

[19] Per un’analisi della normativa comunitaria in tema di appalti pubblici e promozione dello svantaggio, cfr. Leone, Appalti pubblici e soggetti svantaggiati nel dialogo fra le istituzioni comunitarie, in Garofalo D. (a cura di), Appalti e lavoro ..., in corso di stampa.

[20] Sul tema delle clausole sociali negli appalti alla luce del diritto europeo, cfr. da ultimo Meli, Appalti e clausole sociali nel diritto europeo, in Garofalo D. (a cura di), Appalti e lavoro ..., in corso di stampa.

[21] Si tratta del Libro Verde «Gli appalti pubblici nell’Unione europea: spunti di riflessione per il futuro», COM(1996) 583 def., 27 novembre 1996.

[22] Cfr. Comunicazione della Commissione dell’11 marzo 1998 [COM(1998) 143 def.] su «Gli appalti pubblici nell’Unione europea» e Comunicazione della Commissione del 15 ottobre 2001 [COM
(2001) 566 def.] su «Il diritto comunitario degli appalti pubblici e le possibilità di integrare aspetti sociali negli appalti pubblici».

[23] Così Alberti, Tutela ambientale, politica sociale e appalti: verso uno sviluppo sostenibile del Mercato unico. Primi interventi interpretativi della Commissione Ce, in RTA, 2002, 1, 181.

[24] Cfr. il par. 4.4. della Comunicazione della Commissione dell’11 marzo 1998 [COM(1998) 143 def.] su «Gli appalti pubblici nell’Unione europea».

[25] Cfr. punti 1.3. e 1.4.2. della Comunicazione della Commissione del 15 ottobre 2001 [COM(2001) 566 def.], cit., in cui, ai fini dell’accertamento dell’idoneità di offerenti o candidati (a partecipare ad appalti o a presentare offerte), in aggiunta ai criteri di selezione qualitativa, tassativamente e imperativamente, fissati dalle direttive (attinenti alla capacità tecnica, economica e finanziaria), si riconosce alle amministrazioni aggiudicatrici la possibilità di applicare un criterio ulteriore di natura sociale e di matrice giurisprudenziale, ossia il c.d. «criterio addizionale». Cfr., a tal proposito, causa Beentjes, Cgce, 20 settembre 1988, C-31/87, in Racc., 1988, 4652, in cui il criterio addizionale riguardava l’impiego di disoccupati di lunga durata. Nello stesso senso, cfr. CGCE, 26 settembre 2000, C-225/98.

[26] Tra le clausole o condizioni supplementari per l’esecuzione dell’appalto che l’amministrazione aggiudicatrice potrebbe imporre al titolare del contratto, consentendole così di prendere in considerazione aspetti sociali, rientrerebbe, per esempio, «l’obbligo di assumere (...) un numero di disabili superiore a quello stabilito dalla legislazione nazionale dello Stato membro in cui ha luogo l’esecuzione del­l’appalto o di quello del titolare del contratto». Condizione di legittimità di tali clausole è che non solo esse siano rispettose del diritto comunitario, ma anche che siano prive di effetti discriminatori diretti e indiretti nei confronti di offerenti non nazionali: cfr. punto 1.6. della Comunicazione della Commissione del 15 ottobre 2001 [COM(2001) 566 def.], cit.

[27] Dir. 2004/18/CE, del 31 marzo 2004, «relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi» e dir. 2004/17/CE, del 31 marzo 2004, «che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali».

[28] Cfr. Pecchioli, Art. 52. Appalti riservati, in Ferrari-Morbidelli (diretto da), Commentario al codice dei contratti pubblici, Milano, 2013, Vol. I, 764.

[29] In questo senso Leone, Appalti riservati, in Perfetti (a cura di), Codice dei contrati pubblici commentato, Milano, 2013, 773, con riferimento al 28° Considerando, dir. 2004/18/CE, cit.

[30] Cfr. il 28° considerando, dir. 2004/18/CE, cit. e il corrispondente 39° considerando, dir. 2004/17/
CE, cit. Cfr. anche il 33° considerando, dir. 2004/18/CE, cit. (e il corrispondente 44° considerando, dir. 2004/17/CE, cit.) secondo cui le condizioni di esecuzione di un appalto possono essere finalizzate anche alla «promozione dell’occupazione delle persone con particolari difficoltà di inserimento»; quindi, in linea con la Comunicazione della Commissione del 15 ottobre 2011 [COM(2001) 566 def.], cit., tra gli obblighi applicabili rientrerebbe anche quello di «assumere un numero di persone disabili superiore a quello stabilito dalla legislazione nazionale».

[31] È questa la distinzione accolta da Bartoli, L’introduzione delle clausole sociali negli appalti riservati, in amministrazioneincammino.luiss.it., 2010, 7.

[32] Cfr. art. 26, dir. 2004/18/CE, cit. e art. 38, dir. 2004/17/CE, cit.

[33] Cfr. parte II della Comunicazione della Commissione del 15 ottobre 2001 [COM(2001) 566 def.], cit.: con riferimento agli appalti pubblici che non sono oggetto delle direttive, si riconosce la libertà delle amministrazioni aggiudicatrici di «definire e applicare criteri sociali di selezione e di aggiudicazione» anche attraverso la riserva degli appalti a favore di alcune categorie di soggetti, come i disabili (attraverso i c.d. «laboratori protetti») o i disoccupati, purché ciò avvenga in conformità alle norme e ai principi del Trattato CE.

[34] Cfr. art. 19, dir. 2004/18/CE, cit. e art. 28, dir. 2004/17/CE, cit.

[35] Cfr. Relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, di servizi e di lavori (COM(2000) 275 - C5-0367/2000 - 2000/0115(COD)), del 29 ottobre 2001 (spec. emendamento 36 - art. 15-bis (nuovo)). La motivazione alla base della proposta emendativa fa leva, da un lato, sul­l’im­portanza di prevedere una definizione adatta del concetto di “programma per posti di lavoro protetti” e di “laboratori protetti”, al fine di «evitare eventuali abusi»; da un altro lato, sulla necessità di stabilire che «l’aggiudicazione di detti appalti, pur restando riservata ai “laboratori protetti”, sia aperta a tutti i laboratori protetti nell’intera Comunità e non diventi una variante di preferenze regionali o locali», in modo da garantire la «concorrenza comunitaria». A tal fine, occorre che essi siano aggiudicati in conformità alle disposizioni della direttiva.

[36] Cfr. sub nota 2.

[37] In questo senso, cfr. Documento di analisi della Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, adottato dal Consiglio Direttivo dell’Istituto per l’innovazione e trasparenza degli appalti e la compatibilità ambientale (ITACA) nella seduta del 18 dicembre 2014, dalla Commissione Infrastrutture, Mobilità e Governo del Territorio nella seduta del 18 febbraio 2015, e approvato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome nella seduta del 19 febbraio 2015, in itaca.org.

[38] Comunicazione della Commissione del 25 ottobre 2011 [COM(2011) 682 def.] su “Iniziativa per l’imprenditoria sociale. Costruire un ecosistema per promuovere le imprese sociali al centro dell’eco­noma e dell’innovazione sociale”.

[39] Cfr. il 36° considerando, dir. 2014/24/UE, nonché il 51° considerando, dir. 2014/25/UE.

[40] Cfr. rispettivamente il 93° e il 99° considerando, dir. 2014/24/UE; il 98° e il 104° considerando, dir. 2014/25/UE. Cfr. anche 66° considerando Direttiva 2014/23/UE. In particolare, il 99°, il 104° e il 66° considerando sopra richiamati precisano che nelle «specifiche tecniche le amministrazioni aggiudicatrici possono prevedere requisiti di natura sociale che caratterizzano direttamente il prodotto o servizio in questione, quali l’accessibilità per persone con disabilità o la progettazione adeguata per tutti gli utenti».

[41] Cfr. il 101° considerando, dir. 2014/24/UE; il 106° considerando, dir. 2014/25/UE; il 70° considerando dir. 2014/23/UE.

[42] Cfr. gli artt. 20, dir. 2014/24/UE; 38, dir. 2014/25/UE; 24, Direttiva 2014/23/UE; a chiusura delle norme si prevede che l’avviso di indizione della gara deve far riferimento alla disciplina dettata dalle norme medesime.

[43] La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’Assem­blea Generale dell’ONU il 13 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 3 maggio 2008, è stata firmata dall’UE il 30 marzo 2007 ed è entrata in vigore il 22 gennaio 2011; essa è stata ratificata (unitamente al relativo Protocollo opzionale) e resa esecutiva dall’Italia con la legge n. 18/2009, con cui è stato anche istituito l’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità (art. 3).

[44] Così Simonetti, La Convenzione ONU sui diritti delle persone disabili, in I diritti dell’uomo, 2007, 4, 73.

[45] Così Bano, Cooperative sociali, in DDPcomm., Aggiornamento, Utet, Torino, 2000, 229.

[46] Secondo TAR Lombardia, Milano, sez. III, 2 dicembre 1996, n. 1734, in giustizia-amministra
tiva.it
, la facoltà per l’amministrazione di avvalersi dell’istituto dell’affidamento diretto mediante con­venzione a cooperative sociali ex art. 5, legge n. 381/1991, si esercita sulla base di una valutazione complessiva che l’ente deve compiere in considerazione, soprattutto, del risultato sociale perseguito.

[47] In questo senso, cfr. delibera ANAC n. 32/2016, cit., 3.

[48] Borzaga, Cooperazione sociale e inserimento lavorativo: il contributo dell’analisi economica, in DLRI, 2006, 124.

[49] Di Stasi, Il diritto al lavoro dei disabili e le aspettative tradite del “collocamento mirato”, in ADL, 2013, 899.

[50] Bozzao, Il collocamento mirato e le relative convenzioni, in Cinelli, Sandulli (a cura di), Diritto al lavoro dei disabili. Commento alla legge n. 68 del 1999, Torino, 2000, 202.

[51] Corbo, Le convenzioni per il diritto al lavoro dei disabili: natura, struttura, funzione e strumenti di tutela, in ADL, 2009, 386.

[52] Sulle convenzioni ex artt. 11, 12 e 12-bis, legge n. 68/1999, alle quali si è aggiunto l’ulteriore modello regolato dall’art. 14, D.Lgs. n. 276/2003, si rinvia ampiamente a Garofalo D., L’inserimento e l’integrazione lavorativa dei disabili tramite convenzione, in RDSS, 2010, 231 ss. e a Corbo, Le convenzioni ..., 380 ss.

[53] Cfr. Ministero del Lavoro, Seconda Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 12 marzo 1999, n. 68, Roma, 2004, 22.

[54] Così Tullini, Il diritto al lavoro dei disabili: dall’assunzione obbligatoria al collocamento mirato, in DML, 1999, 244.

[55] In tal senso, Corbo, Le convenzioni ..., 380.

[56] È stato necessario inserire tali limitazioni alla deroga, attraverso una modifica apportata alla norma originaria, dalla legge n. 52/1996 (art. 20), a seguito dell’avvio, da parte della Commissione europea, di un procedimento di infrazione a carico dell’Italia per violazione dei principi comunitari concernenti la libera concorrenza e il mercato. Inoltre, l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, dopo aver condotto alcune indagini di settore sull’applicazione dell’art. 5, comma 1 e aver esperito una consultazione degli operatori e delle istituzioni coinvolte, ha ritenuto opportuno emanare delle linee guida per fornire alle stazioni appaltanti chiarimenti in ordine alle modalità di affidamento delle convenzioni; così è stata emanata la determinazione n. 3 del 1° agosto 2012. Da ultimo, l’ANAC, è nuovamente intervenuta a fornire indicazioni puntuali in merito a questi affidamenti, in quanto la prassi applicativa dell’art. 5 ha mostrato sensibili divergenze rispetto al modello indicato dal legislatore (soprattutto per quanto riguarda la mancata rotazione delle cooperative affidatarie; il ricorso alle convenzioni anche per l’affidamento di servizi diversi da quelli strumentali dell’amministrazione; ecc.): cfr. la delibera n. 32/2016, 21.

[57] In questo senso, cfr. delibera ANAC n. 32/2016, cit., 25, 30, secondo cui il limite percentuale deve essere riferito come obiettivo del contratto; quindi, la cooperativa sociale non è tenuta a garantire una presenza puntuale di quel numero minimo di lavoratori svantaggiati, considerati i periodi di assenza dal lavoro necessari, in base alla condizione di svantaggio, per lo svolgimento di diverse attività di sostegno. Risulta, quindi, opportuno indicare in sede di offerta eventuali esigenze dei lavoratori svantaggiati, in modo da agevolare le verifiche da parte della stazione appaltante.

[58] Critico rispetto all’interpretazione dell’ANAC, Olivieri, Cooperative sociali, appalti difficili, in italiaoggi.it, 5 febbraio 2016, secondo il quale la legge intenderebbe favorire nuove opportunità lavorative non connesse allo specifico appalto, ma in generale.

[59] D’ora in poi: AVCP.

[60] Così si è espressa l’AVCP nel parere 18 marzo 2009, n. 38 (PREC 247/08/S), con cui afferma la conformità alla normativa di settore del divieto di avvalimento dei requisiti tecnico-organizzativi (servizi analoghi già svolti) di un altro soggetto imprenditoriale (anche se solo parziale); infatti, trattandosi di requisiti maturati con l’impiego di dipendenti dell’impresa ausiliaria, privi delle caratteristiche delle persone svantaggiate individuate dalla normativa di settore, risulterebbe falsata la selezione comparativa, frustrando la finalità solidaristica sottesa alla disciplina, su cui si fonda la deroga alla disciplina ordinaria degli appalti di servizi.

[61] Secondo Cons. Stato, sez. V, 9 luglio 2015, n. 3445, in giustizia-amministrativa.it, l’obbligo di iscrizione all’albo non sussiste se il servizio assistenziale rientra tra quelli di cui alla tipologia a) del­l’art. 1, legge n. 381/1991.

[62] Cfr. sul punto, parere AVCP 2 aprile 2009, n. 40 (PREC 248/08/S), nel quale si richiama Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2009, n. 558, in giustizia-amministrativa.it, che ha ritenuto legittima l’esclu­sione da un procedura per l’affidamento di un appalto di servizi sociali, di una cooperativa sociale che non abbia fornito indicazioni e prove circa l’effettiva iscrizione all’albo regionale delle cooperative sociali, tassativamente richiesto dalla normativa di gara, quale requisito minimo di partecipazione, ritenendo, pertanto, non lesiva dei principi vigenti in materia la richiesta, da parte di una stazione appaltante, dell’iscrizione ad uno specifico Albo Regionale ai fini della partecipazione alla gara. Sul punto, cfr. anche Cons. Stato, sez. V, 28 gennaio 2009, n. 469, in giustizia-amministrativa.it. L’ANAC nella delibera n. 32/2016, cit., 25, ricorda anche che, laddove l’albo non sia stato istituito, le cooperative sociali devono comunque attestare il possesso dei requisiti previsti dalla legge (artt. 1 e 4, legge n. 381/1991).

[63] Così ord. cautelare TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 24 aprile 2015, n. 530, che richiama Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2012, n. 540; Cons. Stato, sez. VI, 25 gennaio 2008, n. 195, tutte in giustizia-amministrativa.it; TAR Marche, 14 maggio 1999, n. 565, in TAR, 1999, I, 2662. Cfr. anche delibera ANAC n. 32/2016, cit. 25. Più in generale, sulle limitazioni di carattere territoriale inserite nei bandi di gara, l’AVCP ha avuto modo di pronunciarsi più volte (cfr. ex multis deliberazioni n. 45/2010, n. 43/2009, n. 245/2007, n. 314/2007, parere n. 83/2008), come ribadito dal comunicato del Presidente del­l’Autorità del 20 ottobre 2010.

[64] Ai sensi dell’art. 5, comma 3, legge n. 381/1991, le regioni comunicano ogni anno (attraverso la pubblicazione in GUCE) i requisiti e le condizioni richieste ai fini della convenzione, nonché le liste degli organismi che ne abbiano dimostrato il possesso alle competenti autorità regionali.

[65] Cfr. deliberazione AVCP 16 dicembre 2010, n. 83.

[66] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 ottobre 2016, n. 4129; Cons. Stato, sez. V, 16 aprile 2014, n. 1863; Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2010, n. 2829; TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II. 6 luglio 2015, n. 637, tutte in giustizia-amministrativa.it. In senso conforme, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 29 aprile 2013, n. 2342, in UA, 2013, 8-9, 927 ss. (con nota di Dello Sbarba, Illegittimo l’affidamento diretto mediante convenzione a cooperative sociali, 929 ss.), attraverso la quale è stato apportato un rilevante contributo alla definizione di servizio pubblico. Cfr. anche Cons. Stato, sez. VI, 30 luglio 2004, n. 3729, in giustizia-amministrativa.it, secondo cui l’«idoneità a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti» e il «conseguimento di fini sociali a favore della collettività dell’attività svolta» sono i tratti che caratterizzano il servizio pubblico rispetto alla fornitura di servizi, contemplata dall’art. 5, legge n. 381/1991, la quale è tesa a soddisfare esigenze dell’amministrazione pubblica.

[67] Cfr. documento di consultazione dell’AVCP su Linee guida, cit., 6.

[68] Nonostante la legge sia poco chiara in proposito, nella prassi si registra l’utilizzo di programmi di reinserimento personalizzati per ciascun soggetto svantaggiato che presti servizio nell’ambito dell’ap­pal­to affidato con convenzione ai sensi dell’art. 5, legge n. 381/1991: così documento di consultazione dell’AVCP su Linee guida, cit., 8. Il documento evidenzia anche come i relativi percorsi dovrebbero, ove possibile, consentire ai soggetti interessati «di potersi collocare autonomamente nel mercato del lavoro».

[69] Cfr. delibera ANAC n. 32/2016, cit., 26 s., che con riferimento alla determina a contrarre richiama l’art. 11, comma 2, D.Lgs. n. 163/2006, oggi trasposto nell’art. 32, comma 2, D.Lgs. n. 50/2016. Nelle stessa delibera, l’ANAC evidenzia anche la necessità di contemperare la finalità del reinserimento lavorativo con il principio della ragionevole durata dell’affidamento; a tal fine, le amministrazioni sono tenute a definire adeguatamente la durata delle convezioni in considerazione dell’oggetto delle stesse, affinché non risulti di fatto preclusa ad altre cooperative la possibilità di promuovere i propri progetti di inserimento (di regola, sono preclusi gli istituti della proroga e del rinnovo tacito, anche se potenzialmente giustificabili da esigenze di natura sociale). A tal riguardo, il D.Lgs. n. 50/2016, in attuazione di quanto previsto dall’art. 77, comma 3, dir. 2014/24/UE, stabilisce che per gli appalti di servizi sociali, la durata massima del contratto non superi i tre anni (art. 143, comma 3).

[70] Cfr. delibera ANAC n. 32/2016, cit., pp. 28, 30 e determinazione AVCP n. 3/2012, cit., p. 8 s. Se­con­do tali documenti l’esito negativo della verifica sulla persistenza della condizione dell’iscrizione al­l’albo determina la risoluzione della convenzione e dei contratti conseguentemente stipulati, nonché la comunicazione all’albo ai fini della cancellazione. Analogamente si deve procedere alla risoluzione del contratto qualora la stazione appaltante accerti il mancato rispetto degli obblighi di reinserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati.

[71] Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III quater, 9 dicembre 2008, n. 11093; TAR Liguria, Genova, sez. I, 27 giugno 2006, n. 695, entrambe in giustizia-amministrativa.it. Tale orientamento è stato ripreso dalla determinazione AVCP n. 3/2012, cit., p. 7.

[72] La modifica è stata introdotta con l’art. 1, comma 610, legge n. 190/2014. Secondo la delibera ANAC n. 32/2016, cit., p. 29, in assenza di previsioni alternative circa la procedura di affidamento da utilizzare, la materia deve essere disciplinata secondo i principi contenuti nel Codice dei contratti pubblici, tenendo conto della natura degli affidamenti.

[73] Secondo Lacava, I criteri di aggiudicazione, in GDA, 2016, 4, 459, tra le novità principali del nuovo Codice, vi è la «netta preferenza» del legislatore per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che diventa la regola, mentre il criterio del prezzo più basso, diventa l’eccezione. Inoltre, «la ricchezza e la varietà dei criteri indicati in base ai quali è valutata l’offerta conferma (...) la centralità dei temi ambientali e sociali nella disciplina degli appalti pubblici».

[74] Cfr. il 93° considerando, dir. 2014/24/UE e l’art. 95, comma 6, D.Lgs. n. 50/2016. Sul punto, cfr. delibera ANAC n. 32/2016, cit., 29, che richiama le indicazioni già fornite dall’AVCP con la determinazione 24 novembre 2011, n. 7, ai fini del corretto utilizzo del suddetto criterio.

[75] Cfr. sul punto, parere AVCP 12 settembre 2012, n. 147 (PREC/12/S), che richiama TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 30 marzo 2009, n. 719, in giustizia-amministrativa.it, nella quale il giudice amministrativo ha evidenziato che l’art. 5, legge n. 381/1991 può trovare applicazione solo nell’ipotesi in cui l’ente pubblico debba acquisire beni e servizi in proprio favore e non anche affidare a soggetti diversi lo svolgimento di servizi destinati a terzi. In senso conforme, cfr. TAR Puglia, Bari, sez. I, 6 ottobre 2011, n. 1466, in giustizia-amministrativa.it.

[76] Cfr. delibera ANAC n. 32/2016, cit. 27, che fa riferimento all’art. 29, D.Lgs. n. 163/2006; tale richiamo deve intendersi riferito all’art. 35, D.Lgs. n. 50/2016. La delibera precisa che, nel rispetto di quanto previsto dal Codice dei contratti pubblici (art. 29, comma 4, D.Lgs. n. 163/2006, richiamo attualmente riferibile all’art. 35, comma 6, D.Lgs. n. 50/2016), non rientrano nell’ambito della deroga «gli affidamenti diretti effettuati da una stazione appaltante ad un medesimo soggetto per gli stessi servizi (o sostanzialmente equivalenti), di durata limitata, ma ripetuti nel tempo, che singolarmente non raggiungono le soglie di fatturato comunitarie, mentre le superano se considerati nel loro complesso». Inoltre, occorre valutare di volta in volta la possibilità di far rientrare nell’ambito della deroga affidamenti di servizi analoghi a più cooperative sociali. Infatti, astrattamente si potrebbe «realizzare un’uni­ca gara che, anche laddove fosse suddivisa in lotti, supererebbe le soglie per l’esenzione. La scelta di ricorrere a più procedure distinte deve essere adeguatamente motivata dalla stazione appaltante, al fine della massima valorizzazione dell’obiettivo del reinserimento lavorativo».

[77] Secondo la determinazione AVCP n. 3/2012, cit., p. 9, spetta alle stazioni appaltanti «vigilare sul rispetto del singolo programma di lavoro» correlato a ciascun inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati impiegati nel corso dell’esecuzione del contratto, fissando in modo chiaro le relative condizioni nei documenti di gara. Secondo Cons. Stato, sez. V, 28 aprile 2003, n. 2128, in UA, 2003, 7, 1068 ss., con nota di Steccanella, Manutenzione del verde pubblico: appalto di servizi e affidamento a cooperativa sociale e TAR Lombardia, Milano, sez. III, 1 aprile 2008, n. 692, in giustizia-amministrativa.it, il programma di inserimento lavorativo delle persone svantaggiate costituisce una condizione di ammissione alla gara e un parametro di valutazione delle offerte.

[78] Cfr. il parere reso sullo schema di D.Lgs. n. 163/2006, da Cons. Stato, sez. consultiva per gli atti normativi, 6 febbraio 2006, n. 355, in giustizia-amministrativa.it.

[79] Cfr. pareri AVCP (resi ex art. 69, comma 3, D.Lgs. n. 163/2006) 4 aprile 2012, n. 7 e 14 maggio 2009, n. 8. Per la compatibilità con il diritto comunitario/europeo, cfr. il 33° considerando, dir. 2004/18/CE, cit. e il 104° considerando, dir. 2014/24/UE, cit.: entrambe le direttive, tra le condizioni particolari per l’ese­cuzione dell’appalto, menzionano anche quelle finalizzate ad assumere un numero di persone svantaggiate superiore a quello stabilito dalla legislazione nazionale (cfr. rispettivamente 33° e 98° considerando).

[80] Così Pecchioli, Art. 52 ..., 763. L’A. richiama Lipari, Diritto e valori sociali. Legalità condivisa e dignità della persona, Ed. Studium, Roma, 2004, 130.

[81] Cfr. l’art. 19, dir. 2004/18/CE, cit. e l’art. 28, dir. 2004/17/CE, cit.

[82] Per un excursus storico sull’elaborazione giuridica che ha preceduto il D.Lgs. n. 163/2006, cfr. Bartoli, L’introduzione delle clausole ... .

[83] Così Bartoli, L’introduzione delle clausole ..., 1.

[84] Con la determinazione 23 gennaio 2008, n. 2 l’AVCP ha precisato che i modelli di bando soprasoglia contengono la specificazione nel caso in cui la stazione appaltante intenda riservare l’appalto.

[85] Pecchioli, Art. 52 ..., 767.

[86] Così ancora determinazione AVCP n. 2/2008.

[87] Pecchioli, Art. 52 ..., 765. In senso analogo, cfr. Ventura, Art. 52: appalti riservati, in Carullo, Iudica (a cura di), Commentario breve alla legislazione sugli appalti pubblici e privati, Padova, 2012, 533.

[88] Così determinazione AVCP n. 2/2008. Parla di «due limiti alternativi», uno di «carattere soggettivo» e l’altro di «carattere oggettivo», Balestreri, Gli “appalti riservati” fra principio di economicità e esigenze sociali, in UA, 2009, 789.

[89] Sebbene la formulazione letterale del testo facesse propendere per la seconda interpretazione, l’AVCP, collegando il riferimento numerico (maggioranza) ad entrambe le fattispecie, ha espresso una posizione diversa, in linea con i criteri dettati dal legislatore europeo (28° considerando, dir. 2004/18/CE). Di diverso avviso, Bartoli, L’introduzione delle clausole ..., 8, e Leone, Appalti riservati ..., 777. Quest’ultima ritiene che la riferibilità del limite quantitativo soltanto ai «programmi di lavoro protetti», per un verso, avrebbe consentito di accogliere una lettura più ampia della disposizione, in quanto i laboratori, non più soggetti a limitazioni quantitative e addirittura soggettive, avrebbero potuto fronteggiare esigenze di inserimento lavorativo non solo di disabili, ma anche di altre categorie svantaggiate; per un altro, avrebbe evitato un possibile conflitto di norme, allorquando la cooperativa sociale avesse voluto essere qualificata come laboratorio protetto: in tal caso, infatti, avrebbe dovuto avere alle proprie dipendenze una percentuale maggiore di disabili (50% + 1) rispetto a quella fissata dalla legge n. 381/1991 (ossia il 30%) per tutte le categorie dei soggetti svantaggiati.

[90] In linea con le definizioni accolte in ambito comunitario (supra), la determinazione AVCP n. 2/2008 ha fissato, in primis, le condizioni oggettive che dovevano ricorrere cumulativamente ai fini del­l’identificazione dei «laboratori protetti» e, quindi, dell’accesso alla riserva di cui all’art. 52. In particolare: doveva trattarsi di un «soggetto giuridico, costituito nel rispetto della vigente normativa, che esercitasse in via stabile e principale un’attività economica organizzata»; tra le finalità dell’ente, risultanti dai documenti sociali, doveva essere inserita «quella dell’inserimento lavorativo delle persone disabili»; inoltre, nel proprio ambito, doveva avere «una maggioranza di lavoratori disabili che, in ragione della natura o della gravità del loro handicap, non potevano esercitare un’attività professionale in condizioni normali».

[91] La determinazione AVCP n. 2/2008 ha richiamato soltanto «le persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali, i portatori di handicap intellettivo e le persone non vedenti e sordomute» e non le altre categorie menzionate dall’art. 1, comma 1, legge n. 68/1999.

[92] A tal proposito, giova ricordare che, in assenza di «una nozione univoca di disabilità» e nel­l’in­tento di superare le diverse classificazioni tecniche, che hanno posto l’accento su profili complementari della disabilità, in nome dell’eguaglianza fra i diversi soggetti a prescindere dalla causa invalidante (così Pera, Note sulla nuova disciplina delle assunzioni obbligatorie degli invalidi, in GCiv., 1999, 7-8, II, 324), la legge n. 68/1999 accoglie una «quadripartizione», basata sulla distinzione tra «disabilità cognitiva, uditiva, visiva o fisica» (art. 1, comma 1, lett. a) e comma 2) (così Garofalo D., Disabili (lavoro dei) ..., 765), anticipando in qualche modo la definizione di disabilità che sarà introdotta qualche anno dopo dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (art. 1, comma 2). Si distinguono, quindi, ben quattro gruppi di disabili (art. 1, comma 1): «persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e portatori di handicap intellettivo» con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45% (lett. a)); «persone invalide del lavoro» con un grado di invalidità superiore al 33% (lett. b)); «persone non vedenti o sordomute» (di cui alle ll. nn. 381 e 382 del 1970) (lett. c)); «persone invalide di guerra, invalidi civili di guerra e invalide per servizio» con minorazioni di una certa entità (lett. d)). L’elenco è stato arricchito dal D.Lgs. n. 151/2015 (art. 2), che ha aggiunto anche le persone «la cui capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle [proprie] attitudini, sia ridotta in modo permanente, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, a meno di un terzo» (ex art. 1, comma 1, legge n. 222/1984), superando così l’ingiustificata disparità di trattamento rispetto a questi invalidi civili tutelati sotto il profilo assistenziale, ma esclusi dal collocamento protetto, in quanto affetti da una riduzione della capacità lavorativa generica inferiore alla misura minima prevista dall’art. 1, legge n. 68/1999. Così Garofalo D., Jobs act ..., 98.

[93] In questo senso, Leone, Appalti riservati ..., 777.

[94] Cfr. l’art. 2, lett. g)), reg. CE della Commissione 12 dicembre 2002 «relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell’occupazione» e l’art. 2, n. 3), lett. a) e b), reg. UE della Commissione 17 giugno 2014, n. 651, «che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato».

[95] Ciò significa che tutti i soggetti ammessi alla partecipazione alle gare secondo la previsione di cui all’art. 34, D.Lgs. n. 163/2006, pur essendo sprovvisti dei requisiti necessari ai fini del riconoscimento come «laboratori protetti», se ai fini dell’esecuzione dello specifico appalto, si fossero avvalsi di piani di lavoro riguardanti un numero di lavoratori disabili (altrimenti esclusi dal mercato) maggiore di quello dei lavoratori abili, avrebbero potuto godere della riserva di legge. Cfr. determinazione AVCP n. 2/2008. La determinazione ha anche chiarito che l’impiego dei lavoratori disabili sarebbe potuto avvenire anche «sulla base di accordi conclusi con soggetti operanti nel settore sociale», ma nulla ha previsto circa la natura e il contenuto di tali accordi realizzati tra imprese “profit” e soggetti del terzo settore, tra cui, in particolare, le cooperative sociali di tipo b).

[96] Sul punto, giova richiamare Balducci, Il lavoro ..., 585, che ha condivisibilmente riconosciuto alle cooperative sociali la natura di imprese sociali, in quanto operanti nel pieno rispetto del regime concorrenziale e, quindi, «pur sempre secondo una logica imprenditoriale di mercato», seppur «mitigata dalle finalità sociali» perseguite. Sull’«identificazione fra le due fattispecie», cfr. anche Leone, Appalti riservati ..., 775 e, precedentemente, il rapporto sulla cooperazione sociale in Italia, curato da Centro Studi CGM, Imprenditori sociali: secondo rapporto sulla cooperazione sociale in Italia, Fondazione Giovanni Agnelli, 1997, 11. Secondo il recente D.Lgs. n. 112/2017 (art. 1, comma 4), le cooperative sociali e i loro consorzi «acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali» e ad essi si applica la normativa contenuta nel decreto in quanto compatibile con la disciplina specifica di cui alla legge n. 381/1991. Inoltre, posto che l’impresa sociale è quella che «esercita in via stabile e principale una o più attività d’impresa di interesse generale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale» (art. 2, comma 1), la normativa considera tale anche quell’attività nella quale sono occupati (art. 2, comma 4): a) lavoratori molto svantaggiati (ex art. 2, n. 99), reg. UE n. 651/2014); b) persone svantaggiate o con disabilità (ex art. 112, comma 2, D.Lgs. n. 50/2016), nonché persone beneficiarie di protezione internazionale (ex D.Lgs. n. 251/2007) e persone senza fissa dimora (iscritte nel registro di cui all’art. 2, legge n. 1228/1954), che versino in una condizione di povertà tale da non poter reperire e mantenere un’abitazione in autonomia. La condizione è che, in tali ipotesi, i soggetti svantaggiati rappresentino almeno il 30% dei lavoratori impiegati nell’impresa sociale (art. 2, comma 5).

[97] Cfr. determinazione AVCP n. 2/2008.

[98] Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2015, n. 1620, in giustizia-amministrativa.it. D’altro canto, secondo la determinazione AVCP n. 2/2008, nulla avrebbe impedito alle cooperative sociali di tipo b) di «accreditarsi» come laboratori protetti o di operare nell’ambito di «laboratori protetti» e di accedere alla riserva ex art. 52, purché in possesso dei requisiti richiesti dalla norma.

[99] Da ciò derivava che, nella definizione delle griglie di partecipazione alle gare “riservate”, le stazioni appaltanti avrebbero dovuto declinare il rispetto del generale «principio di proporzionalità» sia con riferimento all’«oggetto dell’appalto» e alle sue «caratteristiche specifiche», sia con riguardo al­l’«o­biettivo sociale» al cui perseguimento era finalizzata la riserva. Cfr. determinazione AVCP n. 2/2008.

[100] Si tratta delle dir. 2014/23/UE e 2014/25/UE (supra).

[101] Per un breve commento all’art. 112, D.Lgs. n. 50/2016, cfr. Valente, Sub art. 112. Appalti e concessioni riservati, in Garella, Mariani, Il Codice dei contratti pubblici ..., 293 s.

[102] Ai sensi dell’art. 70, comma 1, D.Lgs. n. 50/2016, attraverso la pubblicazione dell’avviso di preinformazione, le stazioni appaltanti rendono nota (entro il 31 dicembre di ogni anno) l’intenzione di bandire appalti per l’anno successivo.

[103] Cfr. sul punto, delibera ANAC 1° marzo 2017, n. 207, emanata in seguito alla richiesta di parere inoltrata dal Comune di Cesena in relazione all’inclusione dei «laboratori protetti» nell’ambito di applicazione dell’art. 112, considerato che la mancanza di previsione espressa circa la possibilità di riservare la partecipazione alle gare d’appalto e l’esecuzione dei contratti pubblici a tale categoria, aveva sollevato una serie di dubbi interpretativi.

[104] L’art. 2, n. 4), lett. a)-g), reg. UE n. 651/2014, cit. fa riferimento a: coloro che siano privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi; i soggetti di età compresa tra i 15 e i 24 anni; coloro che non possiedano un diploma di scuola media superiore o professionale o che, avendo completato la formazione a tempo pieno da non più di due anni, non abbiano ancora ottenuto il primo impiego regolarmente retribuito; gli over 50; gli adulti che vivono da soli con una o più persone a carico; gli occupati in professioni o settori caratterizzati da un elevato tasso di disparità uomo-donna; gli appartenenti a minoranze etniche degli Stati membri della UE che necessitino di migliorare la propria formazione linguistica e professionale o la propria esperienza lavorativa per aumentare le prospettive di accesso ad un’occupazione stabile.

[105] Così Bartoli, L’introduzione delle clausole ..., 14.