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Trasferimento dell'aeromobile e trasferimento di azienda in una complessa decisione sulla sorte del personale di volo. (nota a sentenza Trib. Civitavecchia, 11 gennaio 2018)
CHIARA TINCANI - Ricercatrice di diritto della navigazione nell'Università di Verona
Tribunale di Civitavecchia, sentenza 11 gennaio 2018
G.G. (Avv. Mele, Abati, Annunziata.) c. A.C. SPA (Avv. Arcadi, Clementi, Navarra, Di Peio)
Impiego privato - Personale di volo - Art. 917 cod. nav. - Espletamento dell’attività su più velivoli - Inapplicabilità.
Impiego privato - Personale di volo - Amministrazione straordinaria di una grande impresa in stato di insolvenza - Natura liquidatoria - Trasferimento di azienda a terzi - Trasferimento di azienda - Inconfigurabilità - Compatibilità con l’ordinamento comunitario.
Impiego privato - Personale di volo - Accordo sindacale - Obbligo di assunzione non trasferibile a un singolo lavoratore - Irrilevanza.
L’applicazione dell’art. 917 cod. nav., per cui, in caso di cambiamento dell’esercente dell’aeromobile, il nuovo succede al precedente in tutti i diritti e gli obblighi derivanti dai contratti dei componenti dell’equipaggio, presuppone che il pilota sia addetto a uno specifico aeromobile e non assume rilevanza nel trasferimento di beni e, quindi, di velivoli di una nota impresa italiana.
È conforme al diritto comunitario il decreto - legge n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, nella parte in cui ha previsto che cessioni di beni e, in particolare, di aeromobili di una nota impresa italiana in crisi non sono trasferimenti di azienda, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., poiché la previsione è conforme al paragrafo 5 della direttiva 2001 / 23 / Ce.
Un contratto collettivo che preveda l’obbligo per un datore di lavoro di assumere dipendenti, in misura prefissata e sulla base delle sue esigenze tecniche, ma senza la specificazione del numero dei dipendenti da assumere per ciascuna posizione professionale, non fa sorgere alcun diritto in capo al singolo pilota.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con ricorso depositato il 7.07.2014 G.G., assumendo di aver lavorato per A.L. s.p.a. con qualifica di pilota dal gennaio 1998 (dal 2003 con grado di primo ufficiale) fino al 13 gennaio 2009 (data del collocamento in CIGS), chiedeva al Tribunale di:
- accertare e dichiarare il diritto ad essere assunto da A.C. s.p.a. a decorrere dal 13 gennaio 2009 anche in conseguenza e per effetto degli artt. 917, 938 cod. nav. e 2212 c.c. e, comunque, il diritto del ricorrente ad essere assunto da A.C. s.p.a. per violazione degli Accordi collettivi e responsabilità contrattuale dalla medesima data, 13 gennaio 2009, ovvero, in subordine, alla data di diffida inviata dal ricorrente in data 9 dicembre 2011 e ricevuta da A.C. s.p.a. il 14 dicembre 2011, ovvero dalla diversa data che il Giudice vorrà stabilire;
- per l’effetto ordinare alla convenuta di assumerlo sulla base del contratto aziendale applicato dalla convenuta nella qualifica pregressa di primo ufficiale adibito agli aeromobili della famiglia A330 o comunque agli aeromobili di categoria equivalente con sede base Roma-Fiumicino ed alla corresponsione della retribuzione lorda mensile pari a quella percepita dal collega Congia, maggiorata della rivalutazione ed interessi;
- condannare la convenuta al risarcimento del danno da quantificarsi nella misura corrispondente a tutte le retribuzioni non percepite dal 13 gennaio 2009 sino alla sentenza nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali;
- in subordine, condannare la convenuta al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata assunzione ed al pagamento delle relative retribuzioni, nella misura da quantificarsi quantomeno nell’importo corrispondente agli anni di retribuzione utili al raggiungimento della pensione di anzianità;
- con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio.
La A.C. S.p.a. si costituiva contestando in toto le avverse pretese e chiedendone il rigetto.
La causa, istruit a documentalmente, previa concessione di un termine per il deposito di note difensive, veniva discussa e decisa come da dispositivo all’udienza odierna.
Parte attrice ha chiesto al Tribunale di accertare, innanzitutto, il diritto alla prosecuzione con la società resistente del rapporto di lavoro intercorso con A.L. s.p.a. sulla base del disposto dell’art. 917 cod. nav.
Ebbene, l’art. 917 cod. nav. dispone, al comma 1, che “In caso di cambiamento dell’esercente, il nuovo esercente succede al precedente in tutti i diritti ed obblighi derivanti dai contratti di lavoro, ma il lavoratore può chiedere la risoluzione del contratto” e al comma 2 che “Se l’aeromobile è in viaggio, la risoluzione può essere chiesta solo all’arrivo in un aeroporto nazionale”.
Una corretta interpretazione di tale previsione di legge non può prescindere da quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione che, pur se in un caso concernente una società di navigazione marittima, dopo avere significativamente evidenziato che la fattispecie del cambiamento dell’armatore della nave di cui all’art. 347 cod. nav. o dell’esercente di cui all’art. 917 cod. nav. è diversa da quella di cui all’art. 2112 c.c. perché concernente soltanto un elemento dell’azienda, ha anche chiarito che l’art. 347 cod. nav. - il quale analogamente all’art. 917 cod. nav. prevede che, in caso di cambiamento dell’armatore della nave, il nuovo armatore succede al precedente in tutti i diritti ed obblighi derivanti dai contratti di arruolamento dei componenti dell’equipaggio, ma questi possono chiedere la risoluzione del contratto all’arrivo in un porto nazionale - “concerne unicamente i contratti di arruolamento su nave determinata e non si riferisce direttamente al mutamento dell’armatore con riguardo ai contratti di arruolamento su navi non determinate, ipotesi questa riconducibile al trasferimento dell’azienda, nella fattispecie non configurabile” (Cassazione civile, sez. lav., 25/05/1995, n. 5754).
Applicando tali principi al caso di specie, deve allora dirsi che l’art. 917 cod. nav. - a differenza dell’art. 2112 c.c.che ha riguardo al fenomeno del trasferimento del complesso aziendale - concerne l’ipotesi in cui muta colui che assume l’esercizio di un determinato aeromobile e determina la successione del nuovo armatore nei contratti di lavoro di coloro che fanno parte dell’equipaggio stabilmente destinato al singolo e specifico aereo oggetto di cessione.
Ne discende che parte ricorrente, invocando l’applicazione della norma in esame aveva l’onere di allegare - e poi di dimostrare - di essere stata addetta ad uno specifico aeromobile e che proprio questo aeromobile è stato oggetto di cessione da A.L. s.p.a. ad A.C. s.p.a.
Stando così le cose, non può non essere evidenziato che il ricorrente non ha adeguatamente allegato, nel corpo dell’atto introduttivo, di far parte di un equipaggio specificamente dedicato alla conduzione di un singolo e specifico aeromobile; egli ha, piuttosto, dedotto di aver ricevuto il grado di primo ufficiale nel 2003 e di essere abilitato, a far data dal 25 novembre 2006, al pilotaggio degli aeromobili della tipologia A320 e non, dunque, di appartenere ad un equipaggio legato ad un determinato aeromobile, ovvero destinato alla conduzione di un preciso e specifico aereo. Neppure è stato dedotto nel ricorso al vaglio che, in generale, vi fosse uno specifico legame tra il personale ed il singolo aeromobile e, cioè, che vi fosse uno specifico equipaggio per ogni singolo aeromobile.
La mancata allegazione - e conseguente dimostrazione - in ordine all’appartenenza del ricorrente all’equipaggio di un determinato aeromobile impedisce, poi, di passare a verificare la sussistenza del secondo presupposto per l’applicabilità dell’art. 917 cod. nav. (costituito, come si è visto, dalla circostanza che proprio quell’aeromobile sia stato oggetto della cessione di beni intercorsa tra A.L. s.p.a. e la società odierna resistente).
Le considerazioni che precedono conducono, pertanto, ad escludere la fondatezza della domanda attorea basata sul disposto dell’art. 917 cod. nav.
Il ricorrente ha sostenuto, poi, di aver diritto alla prosecuzione con la società resistente del rapporto di lavoro intercorso con A.L. s.p.a. anche sulla base dell’art. 2112 c.c., ritenendo che la cessione di beni intercorsa tra le due società configuri un trasferimento d’azienda.
Orbene, va, innanzitutto, rilevato che l’operazione di cessione che viene qui in rilievo si fonda sul disposto dell’art. 5, D.L. n. 347 del 2003 (c.d. decreto Marzano), convertito, con modificazioni, nella L. 18 febbraio 2004, n. 39, come modificato dall’art. 1, comma 13, del D.L. n. 134 del 2008, dettato in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, secondo cui “il Commissario e il cessionario possono concordare il trasferimento solo parziale di complessi aziendali o attività produttive in precedenza unitarie e definire i contenuti di uno o più rami d’azienda, anche non preesistenti, con individuazione di quei lavoratori che passano alle dipendenze del cessionario. I passaggi anche solo parziali di lavoratori alle dipendenze del cessionario possono essere effettuati anche previa collocazione in cassa integrazione guadagni straordinaria o cessazione del rapporto di lavoro in essere e assunzione da parte del cessionario”.
Successivamente il D.L. n. 185 del 2008, convertito con modificazioni dalla L. n. 2 del 2009, inserendo il comma 3-bis all’art. 56 del D.L. n. 270 del 1999, ha precisato che “le operazioni di cui ai commi 1 e 2 effettuate in attuazione dell’articolo 27, comma 2, lettere a) e b-bis), in vista della liquidazione dei beni del cedente, non costituiscono comunque trasferimento di azienda, di ramo o di parti dell’azienda agli effetti previsti dall’articolo 2112 del codice civile”.
Tale disposizione, più che operare una deroga alla fattispecie regolata dall’art. 2112 c.c. (deroga che presupporrebbe la sussumibilità delle operazioni in esame in quest’ultima norma), sembra piuttosto escludere - per quanto qui più direttamente interessa - che la cessione dei singoli beni aziendali, in vista della liquidazione dei beni del cedente, consenta ad un’attività economica organizzata di conservare la propria identità e, dunque, configuri la fattispecie del trasferimento d’azienda, rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 2112 c.c.
Nel caso in esame, risulta che il commissario straordinario ha optato per un programma di liquidazione a norma dell’art. 27, comma 2, lettera b-bis), in un’ottica, dunque, di dismissione del patrimonio e non della ristrutturazione dell’impresa.
Ciò con particolare riferimento all’obiettivo di assicurare la prosecuzione del pubblico servizio di trasporto aereo, attraverso modalità (cessione dei beni) che senza soluzione di continuità consentissero all’acquirente la gestione del trasporto aereo, sulla base di un programma di prosecuzione dell’esercizio dell’impresa della durata non superiore ad un anno “nel cui ambito svolgere un’attività prevalentemente liquidatoria a seguito della cessione del complesso di beni e contratti relativi all’attività di trasporto aereo”.
Sono, dunque, presenti entrambi gli elementi, quali la cessione dei beni (effettuata ex art. 27 comma 2, lettera b-bis) e la funzionalizzazione di essa ad un’attività liquidatoria del cedente - in un’ottica di dismissione del patrimonio aziendale e non, viceversa, della ristrutturazione dell’impresa - enucleati dall’art. 56, comma 3-bis, del D.L. n. 270 del 1999 al fine di escludere il trasferimento di azienda, di ramo o di parti dell’azienda, agli effetti previsti dall’art. 2112 cod. civ.
Né può ritenersi, che la funzione liquidatoria dell’operazione in esame sia smentita dalla chiara finalità di mantenimento della continuità del servizio pubblico di trasposto aereo. Si tratta, a ben vedere, di due distinti piani: la liquidazione dei beni della cedente in vista della dismissione del suo patrimonio non osta a che il cessionario dei beni, inserendoli nella propria struttura aziendale, si impegni a garantire la continuità del servizio pubblico in precedenza erogato dalla cedente; viceversa l’avvenuto mantenimento della continuità del servizio nulla prova in ordine alla continuità aziendale tra cedente e cessionario.
Neppure può ritenersi provato, con sufficiente certezza e univocità, che, nel caso di specie, sia rimasta immutata l’organizzazione aziendale e che sia stato mantenuto il correlato nesso funzionale tra i differenti fattori di produzione trasferiti (si consideri anche che con Decisione in data 12 novembre 2008 resa con riferimento alla procedura di cessione dei beni di cui si tratta, la Commissione europea ha espressamente negato che vi sia continuità economica tra A. e C.; tale decisione è stata poi confermata dal Tribunale di primo grado dell’Unione con la sentenza del 8 marzo 2012, nella causa T-123/09, a sua volta confermata dalla CGE con sentenza del 13 giugno 2013).
Sulla base delle considerazioni che precedono va pure escluso che le norme di legge invocate debbano venir disapplicate in quanto in contrasto con la Direttiva Comunitaria 23/2001. Anche a voler qualificare la cessione di beni aziendali in esame come “trasferimento di azienda”, infatti, opererebbe - stante quanto detto sopra in ordine alla finalità liquidatoria della operazione - la clausola di esclusione contenuta nell’art. 5 della citata Direttiva. Tale articolo prevede, infatti, che i precedenti articoli 3 e 4 “non si applicano ad alcun trasferimento di imprese, stabilimenti o parti di imprese o di stabilimenti nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo di un’autorità pubblica competente (che può essere il curatore fallimentare autorizzato da un’autorità pubblica competente)”.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il motivo di ricorso in esame non merita accoglimento.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole di un inadempimento, imputabile alla società resistente, rispetto ad un accordo - di natura gestionale/obbligatoria e non normativa ex art. 39 Cost. - da questa stipulato con le organizzazioni sindacali e professionali rappresentative dei lavoratori (Acc. del 31 ottobre 2008, in atti).
Rammentato che pacificamente gli accordi sindacali hanno natura negoziale interprivata, deve allora dirsi che i lavoratori di A.L. s.p.a. -qual era il ricorrente- non possono in alcun modo ritenersi parti del contratto in questione.
Com’è noto, infatti, l’ordinamento conferisce in linea generale alle organizzazioni sindacali mera rappresentatività e non pure potere di rappresentanza dei singoli iscritti; nondimeno, in coerenza con le previsioni positive in tema, ben è possibile che il singolo lavoratore attribuisca alla organizzazione sindacale, quale indubbio soggetto di diritto avente capacità di agire, speciali poteri di rappresentanza in ordine a specifici diritti disponibili nascenti dal rapporto di lavoro.
Tali speciali poteri non risultano, però, essere stati conferiti ai sindacati stipulanti nel caso di specie, come risulta in modo evidente dal testo dell’accordo in esame, avendo le associazioni sindacali stipulato l’atto in questione in nome proprio e non in nome e per conto dei loro associati.
Ne è prova la circostanza che il suddetto accordo ha ad oggetto non l’assunzione dei soli lavoratori iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, bensì di 12.500 lavoratori (1.550 piloti, 3.300 assistenti di volo, 7.650 operai, impiegati, quadri, dirigenti) da selezionare tra gli ex dipendenti di A. in amministrazione straordinaria e AirOne.
Ma allora, per poter vantare un diritto all’assunzione derivante da un contratto inter alios, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che quell’accordo era idoneo ad attribuirgli un diritto soggettivo: alla luce del principio generale, per il quale la forza di legge che l’art. 1372, comma 2, c.c. attribuisce al contratto non incide sulla sfera giuridica di soggetti estranei né per accrescerla né per diminuirla, tale risultato poteva,dunque, discendere soltanto dalla dimostrazione che egli era chiaramente individuato o individuabile nel testo contrattuale come terzo beneficiario dell’accordo (sull’onere, in capo al lavoratore, di dimostrare il proprio “diritto all’assunzione” v., in fattispecie analoga, Corte d’Appello di Roma, sentenza 17 aprile 2013 n. 3707,che dà applicazione al principio espresso da Cass., sentenza n. 19008 del 2010 nonché Corte d’Appello di Roma, sentenza 15 giugno 2015 n. 5068; sentenza 8 giugno 2016 n. 2084; sentenza 5 ottobre 2016 n. 4546 e successive conformi).
Del resto la Suprema Corte, proprio in relazione ad un contratto collettivo contenente impegni all’assunzione di lavoratori, ha precisato che “la configurazione del contratto a favore di terzi, nel caso concreto, postula che beneficiari di “diritti” -e non già soltanto di vantaggi di mero fatto- derivanti dal contratto siano soggetti rimasti estranei alla stipulazione (dei “terzi, cioè), che risultino, contestualmente, determinati o, quantomeno, determinabili” (Cass civ., Sez. Lav, sentenza n. 10560 del 1991). Sulla base di tali principi, il diritto alla assunzione dei lavoratori in forza di contratti stipulati dalle organizzazioni sindacali con i datori di lavoro è stato, infatti, riconosciuto da Cass. Civ.,sez. Lav, Sentenza n. 15073 del 2009 e da Cass. Civ. sez. Lav., Sentenza n. 27841 del 2009 soltanto in ipotesi nelle quali i beneficiari dell’accordo erano chiaramente individuati, in un caso nominalmente e, nell’altro caso, attraverso il riferimento a tutto il personale addetto ad una determinata unità produttiva. Nello stesso senso v. anche Cass. Civ., sez. lav., sentenza n. 530 del 2003 che, a fronte di un accordo collettivo contenente una indicazione solo numerica dei lavoratori cui riferire l’assunzione, ha concluso che “deve ritenersi predisposta in sede collettiva in favore di tutti i lavoratori soltanto una tutela indiretta e non immediata, e per essi prevista quindi una aspettativa non concretatasi in una posizione individuale tecnicamente qualificabile come diritto soggettivo azionabile in giudizio singolarmente da ciascuno”.
Fissato questo punto fermo nell’economia della decisione, con riguardo al caso di specie si osserva allora che il ricorrente fonda la sussistenza del diritto soggettivo all’assunzione, azionato nel presente giudizio, sulla affermazione che egli possiede tutti i requisiti indicati nell’accordo sindacale per poter essere assunto (non maturava i requisiti di accesso alle prestazioni previdenziali nei termini indicati dall’accordo, era adibito alla conduzione di aeromobili della famiglia A320, la sua sede di lavoro era Roma, Aeroporto di Fiumicino, era domiciliato a Roma, era posizionato in graduatoria della lista di anzianità del 2008 al n 527 su 1162 piloti complessivi, è coniugato con due figli a carico).
Sennonché, dal testo dell’accordo si evince, chiaramente, che il possesso di requisiti di tal fatta non è sufficiente a qualificare il ricorrente come beneficiario della stipulazione.
Infatti, ferma restando la possibilità, ivi prevista, di non assumere chi avrebbe maturato i requisiti pensionistici nel periodo di fruizione degli ammortizzatori sociali, le parti hanno stabilito due gruppi di criteri, il primo dei quali sovraordinato al secondo.
Il primo gruppo (“esigenze organizzative in coerenza con il nuovo piano industriale”) lascia, a ben vedere, ad A.C. un ampio margine di discrezionalità, essendo previsto nella lett. al) che “il fabbisogno occupazionale di C. così come stabilito nell’Accordo Quadro del 14 settembre 2008 con riferimento alle famiglie professionali Personale di Terra, PCN, PNT, verrà suddiviso per aree organizzative (aeromobili per il PNT e PNC: dipartimento settore per la Terra) come da tabella allegata”; alla lett. a2) che, in relazione al profilo professionale, in attuazione del piano industriale, “verranno considerati i profili professionali che le risorse dovranno possedere (categoria qualifica), in base ai perimetri organizzativi sopra individuati”; infine, alla lett. a3) viene in rilievo la località, intesa come “sede/base d’impegno” con riferimento alla struttura multibase prevista dal piano industriale.
Solo subordinatamente a tali criteri è stato pattuito il secondo gruppo (“criteri di selezione professionali in coerenza con i nuovi assetti organizzativi”), all’interno del quale si dà rilievo al possesso di abilitazioni/certificazioni, alla localizzazione, intesa come domicilio/dimora/residenza del personale rispetto alla sede/base di destinazione, all’anzianità aziendale, ai carichi familiari.
In conclusione, può quindi dirsi che, al fine dell’assunzione, le parti stipulanti l’accordo hanno considerato le esigenze organizzative della società come assolutamente prevalenti rispetto ai requisiti soggettivi posseduti dai lavoratori (sul punto v. Trib. Milano sentenza n. 465 del 2013 e, da ultimo, Corte di Appello Torino sentenza n. 510 del 2015).
Tali considerazioni portano a concludere che il ricorrente, sulla base del testo contrattuale e del possesso dei requisiti dallo stesso allegati, non poteva venir individuato in modo automatico come beneficiario dell’obbligo assunto da A.C. nei confronti delle organizzazioni sindacali, risultando tutt’al più titolare di una mera aspettativa di fatto all’assunzione (per le medesime conclusioni v. Trib. Milano, sentenza n. 465 del 2013; sul punto v. anche Corte di Appello Torino, sentenza n. 510 del 2015, che ha qualificato le disposizioni contenute nell’accordo di cui si tratta come “disposizioni programmatiche” precisando che solo le organizzazioni sindacali firmatarie avrebbero potuto lamentare il mancato adempimento o la violazione degli accordi stessi).
E ciò è tanto più vero se si considera che la tabella volta a suddividere il fabbisogno occupazionale della società resistente per aree organizzative non risulta essere stata redatta, rendendo impossibile determinare a priori, sulla base della volontà negoziale espressa dalle parti contraenti, i lavoratori concretamente beneficiari dell’accordo.
La bontà della conclusione alla quale si è giunti risulta confermata anche dalla considerazione che lo stesso ricorrente, al fine di evidenziare la sussistenza del presunto diritto all’assunzione, non ha potuto far riferimento al solo testo contrattuale (che si palesa del tutto insufficiente a radicare il diritto soggettivo) ma ha dovuto guardare alle altre assunzioni in concreto effettuate dalla Compagnia (per inferirne che egli doveva essere assunto al posto di altri lavoratori). Ciò rende evidente che il caso di specie esula dall’ipotesi del contratto a favore di terzi: il requisito della determinabilità del terzo beneficiario, invero, deve sussistere al momento della stipula; altrimenti - se il terzo può essere determinato soltanto ex post alla luce della concreta attuazione dell’accordo - egli non diviene titolare di alcun diritto soggettivo (autonomamente azionabile).
Per tali motivi non può darsi rilievo alla circostanza che la società abbia ammesso di aver formulato al ricorrente una proposta di assunzione (pagina 3 della memoria): il fatto che, nella fase di esecuzione degli accordi, un lavoratore sia stato contattato per l’assunzione non vale, infatti, a dimostrare che quel lavoratore fosse titolare di un diritto soggettivo all’assunzione stessa (con la precisazione che il lavoratore non ha dimostrato di aver accettato la proposta con ciò determinando la conclusione del contratto ma, al contrario, ha sostenuto di non aver mai ricevuto la proposta in questione).
Conseguentemente, il ricorrente non ha alcun diritto ad agire nei confronti di A.C. per sentir dichiarare l’inadempimento della stessa rispetto ai criteri di selezione del personale contenuti in un contratto di cui egli non è parte ed ottenere il conseguente risarcimento del danno.
Le conclusioni alle quali si è giunti consentono anche di respingere le censure di parte ricorrente volte a stigmatizzare il carattere discriminatorio della mancata assunzione: in mancanza di un diritto soggettivo all’assunzione, infatti, la semplice partecipazione del G. all’attività sindacale non consente, di per sé, di desumere che la sua mancata assunzione da parte di A.C. costituisca comportamento discriminatorio e ritorsivo.
Alla luce delle svolte considerazioni, il ricorso va, pertanto, integralmente respinto.
Le complessità delle questioni trattate e la loro novità, valutata con riferimento alla data di deposito del ricorso, unitamente alla presenza di difformi orientamenti nella giurisprudenza di merito, costituiscono gravi motivi per compensare tra le parti le spese di lite.
Respinge il ricorso.
Spese compensate.
Commento
SOMMARIO: 1. L’inapplicabilità dell’art. 917 cod. nav. nella moderna organizzazione del trasporto aereo. - 2. L’applicazione della disciplina di diritto comune sul trasferimento di azienda, in particolare con riguardo alla procedura di liquidazione delle grandi imprese in stato di insolvenza. - 3. L’accordo sindacale sull’assunzione di un numero programmato di dipendenti.
1. L’inapplicabilità dell’art. 917 cod. nav. nella moderna organizzazione del trasporto aereo
La sentenza riguarda la complessa vicenda di un pilota che lamenta il suo mancato passaggio alle dipendenze di una neocostituita impresa aerea. Il caso è riconoscibile con facilità, nonostante il testo rechi le sole iniziali delle parti, e non è certo singolare che se ne occupi il Tribunale di Civitavecchia, nel cui circondario si trova Fiumicino. Oltre a comportare importanti affermazioni di principio su questioni delicate del diritto dei trasporti, la decisione richiama la sostanziale centralità dell’ordinamento comune nella regolazione del rapporto del personale di volo e ribadisce la marginale rilevanza della disciplina speciale [1], tema al quale ho fatto cenno in altre occasioni [2], cercando di spiegare come, a differenza dell’attività marittima, in quella aeronautica le disposizioni del Codice della navigazione siano diventate di rilievo sempre minore nella soluzione dei conflitti giudiziali.
Questa constatazione trova diretto riscontro a proposito del primo dei tre problemi sollevati dalla sentenza, la quale si sofferma sull’interpretazione di una norma del Codice, vale a dire l’art. 917 cod. nav., invocato dal pilota per sostenere che, a fronte del mutamento dell’esercente di vari aeromobili, i rapporti di lavoro sarebbero dovuti proseguire con il nuovo. A ragione, la decisione ha rigettato la domanda, rilevando come l’art. 917 cod. nav. presupponga l’identificazione del singolo velivolo. Perciò, il prestatore di opere deve allegare e dimostrare di essere stato adibito a uno specifico aeromobile, poi acquisito da altro esercente, mentre, nel caso di specie, nulla del genere era stato sostenuto, non certo per imperizia del difensore del dipendente, ma perché tali circostanze non erano vere. Infatti, in una moderna impresa, dotata di molti velivoli, è impossibile sul piano statistico e organizzativo che il pilota presti la sua attività sempre sullo stesso.
Analogo principio era stato sostenuto da una sentenza di legittimità, seppure inerente alla corrispondente disposizione sulla navigazione marittima [3]. La conclusione della Suprema Corte e quella dell’ultima decisione sono coerenti con una piana interpretazione letterale e l’art. 917 cod. nav. non avrebbe consentito una diversa esegesi. Però, ciò porta alla sostanziale perdita di qualunque significato applicativo della norma, la quale, al limite, può riguardare le imprese con un solo aeromobile, situazione marginale e di scarsa importanza già sul piano statistico. Questa conclusione non deve sorprendere, perché l’art. 917 cod. nav. risale al 1942 [4] e, cioè, a un momento nel quale l’attività aeronautica era del tutto differente, non solo per la frequenza dei voli, ma per la stessa struttura di chi si dedicava a essi. Come è naturale, nella moderna società economica, l’art. 917 cod. nav. è poco più di un relitto del passato, e di ciò si è resa conto la decisione, la quale ha messo in luce il difetto di allegazione e di prova in cui è incorso il pilota, ma, al tempo stesso, almeno in modo implicito, ha sottolineato che il modello dell’art. 917 cod. nav. è incoerente con le attuali condizioni di mercato.
Come ho cercato di dimostrare in un altro contributo [5], questa caratteristica è propria della gran parte delle prescrizioni del Codice della navigazione [6], sempre più marginali, non tanto per un loro difetto di origine o per l’impostazione prescelta nel 1942 [7], quanto perché sono rimaste immodificate di fronte alle enormi trasformazioni del diritto del lavoro, il quale ha regolato persino la settoriale posizione del personale di volo [8]. La vera ragione della crisi del Codice non è la sua specialità, ma la stasi dei suoi criteri, soprattutto di fronte all’evoluzione della società italiana e dei canoni di regolazione dei rapporti di lavoro. Ciò ha determinato l’obsolescenza delle disposizioni dello stesso Codice e ha giustificato il riferimento obbligato al diritto comune, per esempio in tema di licenziamenti [9] e di assunzioni a tempo determinato [10]. Persino in modo più chiaro, lo stesso si può dire, a proposito dell’art. 917 cod. nav., di rado invocato, vi è da ritenere, sempre senza successo, se non in casi marginali nei quali il personale di volo sia adibito in modo stabile al medesimo aeromobile. La sentenza può sembrare scontata e l’esegesi dell’art. 917 cod. nav. è inevitabile, ma rinvia a una questione più complessa e, cioè, al venire meno di una effettiva specialità della disciplina del Codice [11], perché le norme relative non sono più coerenti con le sensibilità e con le questioni applicative dell’impresa di oggi. È necessario il riferimento al diritto comune e non al Codice stesso.
2. L’applicazione della disciplina di diritto comune sul trasferimento di azienda, in particolare con riguardo alla procedura di liquidazione delle grandi imprese in stato di insolvenza.
Una conferma della fondatezza del ragionamento appena svolto deriva in modo indiretto dalla sentenza, la quale, subito dopo, si è chiesta se potesse trovare applicazione l’art. 2112 c.c., così superando in via implicita un dubbio che sarebbe potuto sorgere ai sensi dell’art. 1 cod. nav. [12]. Ci si sarebbe potuti domandare se l’art. 917 cod. nav., seppure inapplicabile al caso di specie, escludesse per la sua sola presenza e in virtù del principio di specialità il possibile riferimento al diritto comune e, dunque, all’art. 2112 c.c. Sebbene in modo tacito, la risposta della pronuncia è stata negativa, poiché ha indagato sull’eventuale risalto dell’art. 2112 c.c., appunto sulla scorta di un ragionamento tutto interno al diritto comune e senza alcun riferimento al Codice. A volere essere fedeli alla lettera dell’art. 1 cod. nav., questo approccio potrebbe destare delle perplessità, poiché l’art. 917 c.c. potrebbe porre ostacoli all’operare dell’art. 2112 c.c., ma una simile soluzione sarebbe irrazionale e contraria allo spirito dei tempi, per tutte le ragioni esposte, in particolare per la complessiva inattualità dell’art. 917 cod. nav., pensato per un diverso contesto organizzativo. Perciò, è inevitabile l’approccio della pronuncia e ci si deve domandare se, sulla base del diritto comune, ci si trovasse di fronte a un trasferimento dell’azienda o di un solo ramo.
Esistono disposizioni di segno opposto proprio con riguardo al caso delle grandi imprese in insolvenza e, a ragione la decisione menziona l’art. 5, D.L. n. 347/2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 39 del 2004, con le innovazioni addotte dall’art. 1, comma 13, D.L. n. 134/2008, per cui il commissario di una procedura di amministrazione straordinaria per le grandi imprese in stato di insolvenza può effettuare trasferimenti di complessi aziendali “con individuazione di quei lavoratori che passano alle dipendenze del cessionario”. Il principio è stato reso più chiaro dal D.L. n. 185 del 2008, convertito dalla legge n. 2/2009, che ha inserito il comma terzo bis nell’art. 56 del decreto - legge n. 270/1999, precisando che, sempre in tema di amministrazione straordinaria per le grandi imprese in stato di insolvenza, le cessioni a finalità liquidatorie “non costituiscono, comunque, trasferimento di azienda, di ramo o di parti dell’azienda”, agli effetti dell’art. 2112 c.c.
Nella sua parte più originale, la decisione esclude il carattere derogatorio di queste disposizioni rispetto all’art. 2112 c.c. e, se mai, sottolinea la natura liquidatoria dell’intera procedura [13]. Ci si può domandare se le risultanze documentali confermassero tale osservazione, poiché non è stata svolta una istruttoria orale. Però, la tesi trovava il conforto indiretto di due decisioni comunitarie e, comunque, di fronte al chiaro tenore letterale delle disposizioni, corroborate da queste pronunce, l’indagine compiuta dal giudice serve soprattutto a giustificare il significato delle norme, la loro legittimità costituzionale e la loro coerenza con il diritto europeo. Questi risultati sono stati raggiunti sulla scorta di una riflessione sulla funzione dell’intera procedura di amministrazione straordinaria per le grandi imprese in stato di insolvenza, appunto considerata votata alla liquidazione degli assetti patrimoniali del vecchio vettore aereo, a beneficio dei creditori. Su questa base, le disposizioni sull’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c. sono state viste non come una deroga, ma in relazione alla pretesa inesistenza di un trasferimento di azienda, proprio per il passaggio a favore del compratore di singoli beni, e non di una entità economica organizzata [14].
Questa conclusione è molto benevola rispetto all’impostazione della procedura e giustifica le apposite indicazioni italiane, dando un certo spazio alla ragione di Stato [15]. Non a caso, per la decisione, l’obbiettivo di conservare la funzionalità dei servizi di trasporto aereo si può accompagnare alla liquidazione e non solo alla cessione dell’azienda, sebbene restino molti dubbi. L’affermazione è corretta in linea di principio [16], ma se, da viaggiatore, si guarda all’evoluzione nell’offerta delle prestazioni, è difficile negare il trasferimento di una entità economica organizzata, alla stregua dell’art. 2112 c.c. e delle direttive comunitarie [17], in particolare di quella del 2001 [18], soprattutto se si riflette sull’ultima giurisprudenza europea [19], a ragione attenta al destino dei beni strumentali. Vi sono pochi dubbi sul fatto che i velivoli siano stati acquisiti dal nuovo vettore, in luogo della vecchia compagnia di bandiera.
Ciò non significa che la sentenza sia giunta a considerazioni errate nel merito, ma la motivazione non è convincente. Le norme citate configurano una effettiva deroga, come si ricava dal loro tenore letterale. L’art. 2112 c.c. era applicabile in astratto, ma non in concreto, proprio per la scelta prescrittiva di tenore opposto. Il trasferimento di una entità economica organizzata non ha portato alle conseguenze dell’art. 2112 c.c., perché ciò non è stato voluto dal legislatore, nella convinzione per cui tale deroga fosse necessaria a tutela dell’interesse pubblico e, cioè, per la conservazione di un funzionale servizio di trasporto aereo, visto che la disposizione aveva bene in mente il caso della compagnia di bandiera. Per quanto sia discutibile la valutazione discrezionale dell’autorità di governo e della maggioranza parlamentare, sarebbe difficile censurare sul piano della razionalità e della legittimità costituzionale un orientamento assunto in un contesto di accentuata gravità, nel quale la complessità del problema rende inevitabile la manifestazione dell’indirizzo politico, sebbene provochi una deroga all’art. 2112 c.c.
Soprattutto, come sostiene in modo convincente la pronuncia [20], non vi sono problemi di compatibilità con il diritto comunitario ai sensi della direttiva del 2001, poiché la procedura stessa ha natura liquidatoria e tale attività è svolta sotto il diretto controllo pubblico. Ciò non significa che la liquidazione stessa non possa avere luogo mediante il trasferimento di azienda [21] e, sebbene la decisione sia in parte di tenore opposto, vi è da pensare che lo stesso trasferimento di azienda abbia avuto luogo nel caso di specie, se non altro perché il complesso dei beni strumentali è transitato dalla vecchia compagnia di bandiera al nuovo vettore. Però, per il diritto comunitario, nell’ipotesi di attività liquidatoria di matrice pubblica, la disciplina della direttiva del 2001 può essere derogata, e questo è accaduto, in particolare in ordine alla prosecuzione di tutti i rapporti con il cessionario. La conclusione ultima della pronuncia è lineare e, in fondo, le norme di deroga sono state concepite proprio in applicazione di questo principio della direttiva del 2001, con una scelta prescrittiva consapevole nei suoi riferimenti all’ordinamento europeo e da considerare coerente con esso.
3. L’accordo sindacale sull’assunzione di un numero programmato di dipendenti
La parte meno convincente della sentenza è quella in cui procede all’interpretazione di un accordo sindacale sulla programmata assunzione di un numero identificato di lavoratori, poiché si leggono affermazioni poco opportune sul fatto che il contratto sarebbe stipulato in virtù del criterio della rappresentatività e che i negozi collettivi non sarebbero conclusi in forza di un potere di rappresentanza, insito nell’adesione associativa, in questo caso pacifica, poiché il pilota era un dirigente sindacale. Ne deriva una lunga disquisizione sul fatto che l’accordo sarebbe stato concluso da terzi, senza che, purtroppo, la sentenza dedichi nemmeno una parola al possibile carattere normativo delle intese sindacali. Non era questo il problema e l’art. 1372 c.c. è estraneo alla questione da decidere. In modo molto più lineare, si sarebbe dovuto procedere all’interpretazione del testo, per stabilire se avesse carattere obbligatorio o normativo e, nel secondo caso, il lavoratore iscritto avrebbe potuto invocare a suo favore l’intesa, non perché il contratto sarebbe stato a favore di terzi, ma proprio in virtù dei suoi effetti normativi e del suo corrispondente incidere sulla sfera giuridica individuale, a maggiore ragione se si considera l’adesione del prestatore di opere al sindacato stipulante.
Però, la decisione è convincente quando, esaminando le clausole, esclude la loro natura normativa, seppure nell’ambito di un non persuasivo e diverso approccio sistematico. Non vi erano effetti normativi perché l’obbligazione di assumere un numero programmato di lavoratori non si accompagnava alla loro identificazione né diretta, né indiretta, soprattutto per un elemento fondamentale. Il numero non era suddiviso in modo vincolante con riguardo alle singole posizioni professionali e, quindi, era indeterminabile ciascun beneficiario ultimo [22]. La lunga descrizione di parametri da tenere in considerazione non era sufficiente a fare stilare una graduatoria, sia perché mancavano criteri cogenti, sia in quanto, in modo ancora più diretto, non si ravvisava il punto di partenza per qualsiasi graduatoria e, cioè, il numero dei lavoratori da assumere in ciascuna professione, posta l’ovvia infungibilità delle competenze, in un settore caratterizzato da forti controlli pubblici sui titoli abilitativi [23]. A volere fare un esempio, poiché non era stato stabilito quanti fossero gli assistenti di volo e quanti i piloti, nessun singolo prestatore di opere avrebbe potuto vantare un diritto all’assunzione, proprio per la struttura dell’intesa, la quale si era limitata all’indicazione di una obbligazione generica nella sua stessa struttura, obbligazione di cui solo l’associazione sindacale avrebbe potuto chiedere il rispetto, va da sé nei limiti intrinseci all’impegno assunto.
[1] Cfr. E. Spasiano, Oggetto e autonomia del diritto della navigazione: progresso della dottrina o involuzione?, in RDC, 1978, I, 3 ss.; D. Gaeta, Riflessioni sulla disciplina del contratto di trasporto, ibid., 1978, I, 3 ss., e dello stesso A., Le fonti del diritto della navigazione, Milano, 1965, 149 ss.; G. Romanelli, Riflessioni sulla disciplina del contratto di trasporto, in DT, 1993, 295 ss.; A. Scialoja, Sistema del diritto della navigazione, Roma, 1933, ed. III, 9 ss.
[2] Cfr. Tincani, La disciplina del rapporto di lavoro del personale di volo e il principio di specialità, in VTDL, 2017, 755 ss.
[3] Cfr. Cass. 25 maggio 1995, n. 5754, in GI, 1995.
[4] Cfr. F. Dominedò, Principi del diritto della navigazione, Padova, 1957, I, 48 ss.; A. Scialoja, Sistema del diritto della navigazione, Roma, 1933, vol. III, 9 ss.; E. Spasiano, Oggetto, limiti e integrazione del diritto della navigazione, in RDN, 1961, I, 43 ss.
[5] Cfr. Tincani, La disciplina del rapporto di lavoro del personale di volo e il principio di specialità, loc. cit., 755 ss.
[6] Cfr. A. Scialoja, Sistema del diritto della navigazione, cit., 9 ss.
[7] Cfr. E. Spasiano, Oggetto, limiti e integrazione del diritto della navigazione, loc. cit., 43 ss.
[8] Cfr. G. Branca, Lavoro del personale di volo, in ED, XXIII, 459 ss.; D. Gaeta, Equipaggio della nave e dell’aeromobile, in ED, XV, 50 ss.; E. Spasiano, Contratto di lavoro del personale di volo e contratto di arruolamento marittimo, in RDN, 1942, I, 271 ss.
[9] Cfr. L. Menghini, I contratti di lavoro nel diritto della navigazione, in TDCC, , Milano, 1996, XX, p. 37 ss.; Spasiano, Contratto di lavoro del personale di volo e contratto di arruolamento marittimo, loc. cit., 271 ss.; A. Torrente, I contratti di lavoro della navigazione. Arruolamento e contratto di lavoro del personale di volo, Milano, 1948, 109 ss.; G. Pirani, “Specialità” del rapporto di lavoro della gente dell’aria e art. 35 dello Statuto dei lavoratori, in RDN, 1971, I, 203 ss.; G. Branca, Lavoro del personale di volo, in ED, XXIII, 459 ss.
[10] Cfr. R. Cosio, Regole speciali per il settore del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali, in AA. Vv., La nuova disciplina del lavoro a termine: decreto legislativo n. 368 del 2002, a cura di L. Menghini, Milano, 2002, 80 ss.; V. Nobile, Il lavoro a termine nel trasporto aereo e nei servizi aeroportuali, in D&L, 1987, 894 ss.; Della Rocca, Discipline specifiche di lavoro a termine, in AA.VV., Il contratto di lavoro a tempo determinato nel decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, a cura di G. Perone, Torino, 2002, 185 ss.
[11] Cfr. Cusmai, Verso una ulteriore attenuazione dell’autonomia normativa e della specialità del diritto della navigazione in materia di lavoro nautico, in DT, 2006, 231 ss.
[12] Cfr. E. Spasiano, Il diritto della navigazione come sistema unitario e autonomo, in RDN, 1963, I, 293 ss.; D. Gaeta, Aspetti pubblicistici del diritto della navigazione, in Trasp., 1982, 35 ss.
[13] Cfr. la sentenza in esame, secondo cui “tale disposizione, più che operare una deroga alla fattispecie regolata dall’art. 2112 cod. civ. (deroga che presupporrebbe la sussumibilità delle operazioni in esame in quest’ultima norma), sembra, piuttosto, escludere (…) che la cessione dei singoli beni aziendali, in vista della liquidazione dei beni del cedente, consenta a una attività economica organizzata di conservare la propria identità e, dunque, configuri la fattispecie del trasferimento di azienda, rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 2112 cod. civ.”.
[14] Cfr. Nuzzo, L’oggetto del trasferimento: entità materiale, organizzazione o mera attività?, in De Luca Tamajo-Rusciano-L. Zoppoli (a cura di ), Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema, Napoli, 2004, 593 ss.; Santagata, Trasferimento del ramo d’azienda tra disciplina comunitaria e diritto interno, ibid., 607 ss.; Cester, Il trasferimento del ramo di azienda ancora alla prova della Corte di giustizia fra uso capovolto della normativa di tutela e disciplina di maggiore favore, nota a Corte di giustizia 6 marzo 2014, C. - 458 del 2012, Sig. Amatori c. Spa Telecom Italia, in RIDL, 2014, II, 470 ss.
[15] Cfr. Pedrabissi, Il trasporto aereo, il mercato concorrenziale e gli aiuti di Stato. Riflessioni a margine del caso Alitalia, in VTDL, 2017, p. 729 ss.
[16] Sulla necessità che il ramo di azienda debba essere “dotato di una sua vita”, v. Romei, Il trasferimento d’azienda e gli orientamenti della dottrina, in DDG, 2004, n. 2, Trasferimento di ramo d’azienda e rapporto di lavoro, 303 ss.; Cester, La fattispecie: la nozione di azienda, di ramo di azienda e di trasferimento fra norme interne e norme comunitarie, in QDLRI, 2004, 28, Il trasferimento di azienda, p. 49 ss. Per una sintesi delle posizioni della giurisprudenza comunitaria, con particolare riguardo ai criteri identificativi del ramo di azienda, v. Foglia, La giurisprudenza della Corte di Giustizia europea sulla nozione di trasferimento d’azienda, in DDG, 2004, 2, 409 ss.
[17] V. Grandi, Le vicende modificative del rapporto riferibili al datore di lavoro: il trasferimento dell’azienda, in Trasferimento di ramo di azienda e rapporto di lavoro, in DDG, Milano, 2004, 421 ss.
[18] Cfr. Mainardi, Azienda e ramo di azienda: il trasferimento nel decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in Studi in onore di Mario Grandi, Padova, 2005, 449 ss.
[19] V. Corte di giustizia, sezione ottava, 20 luglio 2017, C. - 416 del 2016, Sig. Piscarreta c. Portimao urbis em Sa in liquidazione e altri, in VTDL, sito, 2017.
[20] Cfr. la sentenza in esame, secondo cui “sulla base delle considerazione che precedono, va pure escluso che le norme di legge invocate debbano venire disapplicate in quanto in contrasto con la direttiva comunitaria 23/2001. Anche a volere qualificare la cessione di beni aziendali in esame come ‘trasferimento di azienda’, infatti, opererebbe - stante quanto detto (…) in ordine alla finalità liquidatoria della operazione - la clausola di esclusione contenuta nell’art. 5 della citata direttiva. Tale articolo prevede, infatti, che i precedenti articoli 3 e 4 ‘non si applicano ad alcun trasferimento di imprese, stabilimenti o parti di imprese o di stabilimenti nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo di una autorità pubblica competente (che può essere il curatore fallimentare autorizzato da una autorità pubblica competente)’”.
[21] Cfr. Scarpelli, Il mantenimento dei diritti del lavoratore nel trasferimento d’azienda: problemi vecchi e nuovi, in QDLRI, 2004, n. 28, Il trasferimento di azienda, 99 ss.; De Luca Tamajo, La disciplina del trasferimento di ramo d’azienda dal Codice civile al decreto legislativo n. 276 del 10 settembre 2003, in De Luca Tamajo-Rusciano-L. Zoppoli (a cura di ) Mercato del lavoro: riforma e vincoli di sistema, Napoli, 2004, 577 ss.; Lambertucci, Modifica all’articolo 2112, comma 5, del Codice civile, in Gragnoli-Perulli (a cura di ) La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, Padova, 2004, 468 ss.
[22] Cfr. la sentenza in esame, secondo cui “ciò è tanto più vero se si considera che la tabella volta a suddividere il fabbisogno occupazionale della società resistente per aree organizzative non risulta essere stata redatta, rendendo impossibile determinare a priori, sulla base della volontà negoziale espressa dalle parti contraenti, i lavoratori concretamente beneficiari dell’accordo”.
[23] Cfr. M. Alciator, Licenze del personale aeronautico: dalla normativa nazionale a quella europea, in B. Franchi (a cura di ) Cinquant’anni di Codice della navigazione, Atti del convegno giuridico, 2 - 3 dicembre 1992, Roma, 1993, 137 ss.; G. Romanelli-M. Riguzzi, Licenze e altri documenti del personale aeronautico civile, in DDP sez. comm., IX, 52 ss.; Bergami, In tema di discrezionalità nell’accertamento dell’idoneità per il rilascio delle licenze aeronautiche, in DT, 1990, 230 ss.